La Stampa 20.9.18
I militari italiani addestrano le forze del Niger
Al via la missione per controllare le frontiere
di Francesco Grignetti
Missione
militare in Niger, finalmente si parte. Era stata annunciata con una
certa enfasi un anno fa dal governo precedente, ma si era impantanata in
un confuso gioco di scaricabarile tra ministri nigerini. E su tutto,
l’ombra oscura del governo di Parigi che non aveva gradito. Il ministro
della Difesa, Elisabetta Trenta, però, ci ha creduto e si è spesa molto
nei contatti diretti. Così il via libera è arrivato. I primi 3 team di
addestratori sono già a Niamey da qualche giorno. Uomini e donne
dell’esercito, dell’aeronautica, dei carabinieri. Hanno il compito di
addestrare le forze di sicurezza locali al controllo del territorio e
dei confini. Obiettivo, fermare i traffici illeciti che sono la piaga
dell’area, a cominciare da quelli dei trafficanti di esseri umani.
Il Niger è vicino
Il
Niger, Paese sub-sahariano che confina con la Libia, è molto più vicino
a noi di quanto si pensi. Spiega il ministro Trenta, che ha dovuto
superare anche qualche sopracciglio alzato nel suo movimento: «Andiamo
lì a supporto del governo nigerino, che ci chiede aiuto. La stabilità di
quel Paese è interesse comune, nostro e loro. Noi vogliamo dare tutto
il supporto che ci verrà richiesto. Stabilizzare l’area significa
soprattutto aumentare il controllo sui flussi di migranti che
attraversano il deserto, investono la Libia e alla fine s’imbarcano nel
Mediterraneo per arrivare da noi».
L’Italia arriva in Niger,
dunque. Lo facciamo per una missione rigorosamente di addestramento, che
si terrà soprattutto all’interno della grande base militare che gli
americani hanno creato accanto all’aeroporto internazionale di Niamey e,
se il governo nigerino lo riterrà utile, anche in qualche caserma
locale. Ogni team di addestratori (finalizzati a preparare soldati,
gendarmi e avieri) è composto da una decina di specialisti ed è in grado
di addestrare 150/200 uomini per ciclo di addestramento.
Le
caratteristiche della missione, insomma, non cambiano rispetto a quanto
previsto un anno fa. L’obiettivo che era stato identificato dallo stato
maggiore è replicare quei programmi di addestramento che adesso si fanno
in Afghanistan o Iraq, con ottimi risultati in termini di forze locali.
Si sconta però un’impasse di 10 mesi. È accaduto infatti che il gruppo
avanzato della logistica, composto da 40 uomini, al comando del generale
Antonio Maggi, si trova bloccato in un limbo giuridico e fisico dal
dicembre scorso. Avevano avuto il permesso di fare un’ispezione nella
base che avrebbe dovuto ospitare la missione; ma poi sono iniziate le
polemiche tra ministri nigerini e tutto si è fermato. Mettiamoci la
lunga campagna elettorale in Italia e poi lo stallo politico conseguente
alle elezioni. Le trattative tra governi si sono arenate. E così ai
nostri non è mai arrivata l’autorizzazione finale ad uscire armati e in
divisa dalla base. A quel punto, per ovvi motivi di sicurezza, nessuno
tra i soldati italiani in tutti questi mesi ha mai varcato il portone in
uniforme.
Un filo di contatti, comunque, è rimasto in vita. Tra
aprile e luglio sono state spedite 50 tonnellate di materiali tra
vestiario e medicinali a supporto della popolazione.
Che questa
missione fosse «strategica», il ministro Trenta l’aveva detto da subito.
«Perché ci consente di fermare i flussi migratori verso la Libia». Per
avere il via libera finale, però, è stato necessario resettare tutto
quanto detto finora e cancellare l’indicazione di 400 soldati che agli
occhi di molti in Niger era apparsa una mezza invasione. «Questo numero
ha spaventato i nigerini», disse in Parlamento. Si potranno comunque
fare le stesse cose con team molto piccoli; la missione costerà meno e
sarà meno visibile.