mercoledì 19 settembre 2018

Il Fatto 19.9.18
Il Messaggero, che fu progressista e combatteva pure i “palazzinari”
Nell’altro secolo era un quotidiano liberale. Fece la battaglia per conservare Villa Borghese, ma anche per la statua di Giordano Bruno
di Vittorio Emiliani


Un nuovo quotidiano esce a Roma a otto anni dalla storica “breccia”, prima come numero unico di prova e si chiama Il Messaggiero. Diventerà Il Messaggero col gennaio 1879.
Il suo fondatore, il milanese Luigi Cesana, proviene da Firenze, ha respirato in casa giornalismo e garibaldinismo.
Il padre Giuseppe Augusto, torinese, ha partecipato alle Cinque giornate di Milano (1848), ha conosciuto presto Cavour e Garibaldi e, da direttore della Gazzetta di Torino, ha caldeggiato più di tutti la partenza dei Mille. A Firenze crea Il Fanfulla, dove si fa le ossa il figlio Luigi. I quotidiani di quel periodo sono molto “militanti”, spesso veri giornali-partito. Il Messaggero no. All’inizio molto elitario, sorta di “giornale dei giornali” e poi, invece, quotidiano di grande cronaca specie a partire dal processo Fadda che lo fa decollare in copie prevalendo fra i 22 quotidiani del 1880.
Il suo “collante”? Laicismo che spesso diventa anticlericalismo, quindi radicale, talora accusato persino di socialismo. Vi scrive spesso il primo deputato socialista, Andrea Costa, allievo di Carducci. Sostiene l’epica impresa dei cooperatori ravennati nella bonifica del malarico litorale romano: 300 morti nei primi anni. Il giornale è anche anti-colonialista e anti-militarista. Quei 250 milioni all’anno li destinerebbe alla scuola, alla drammatica “questione sociale”. Non è “parlamentarista”, critica bizantinsmi e trasformismi. Con molta apertura però al dibattito, anche interno (attualissimo) sull’indennità ai deputati: senza una remunerazione andranno alla Camera “gli improvvisati” e “gli sfaccendati”.I primi deputati socialisti, poveri in canna, sovente per dormire approfittano del treno (che è gratis).
Il Messaggero nasce da gente integerrima, senza interessi economici privati, che lo gestirà e pubblicherà fino al 1912, per 35 anni.
Sopravvive, quasi solo, allo scandalo della Banca Romana perché da essa non ha preso un centesimo. Oltre all’onestà, il “collante” è per decenni l’anticlericalismo. Così i disordini durante la traslazione serale della salma di Pio IX a San Lorenzo fuori le Mura, il giornale li attribuisce essenzialmente alla rumorosa e organizzata “gazzarra” dei clericali e non alle grida “Al Tevere! Al Tevere!” degli anticlero.
Vanta orgogliosamente l’appoggio pieno al corteo di massa per l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori dove nel 1600 il filosofo domenicano è stato arso vivo dai confratelli dell’Inquisizione: 20 mila partecipanti, tutti i vertici dell’Università e della scienza, accusati dai Gesuiti e dall’Osservatore Romano di “debaccare” (cioè di darsi a danze bacchiche, orgiastiche) per strada. Gesuiti che vorrebbero ribattezzare la piazza “Campo maledetto” e che reclamano ancora, nel 1929, per il Concordato, la rimozione della statua.
Straordinarie le inchieste del giornale per una nuova rete ospedaliera, per la difesa delle Ville storiche dagli appetiti dei “palazzinari”, in specie di Villa Borghese, con una martellante campagna dall’84 in poi, e il Messaggero vince: una sentenza pretorile gli dà ragione, lo Stato nel 1901 compra il Parco e la Galleria Borghese per 3,6 milioni destinando il polmone verde al “godimento dei cittadini romani”.
Nel 1907, l’appoggio forte, generoso alla Lista di Ernesto Nathan, al Blocco del Popolo, radicali, repubblicani e socialisti riformisti e, dopo il suo trionfo, alla sua rigorosa e scomoda politica urbanistica, alla creazione di interi quartieri-modello, di villini e case economiche, di municipalizzate moderne, di una fitta rete di asili, scuole, istituti, di Musei e auditori come l’Augusteo, ecc. Sei-sette anni luminosi, coi “palazzinari” italo-vaticani messi in un angolo per anni.
Poi il fascismo con un gruppo di giornalisti antifascisti (Vittorio Gorresio, Gino De Sanctis, Sandro De Feo e altri) e di tipografi che stampano il foglio clandestino La Voce Operaia di Ossicini e Rodano. Ma la vera svolta, il ricongiungimento con la grande tradizione laica e democratica, nel 1974, quando redattori e tipografi si oppongono alla vendita a Edilio Rusconi editore di fiducia della Dc e capeggiano la battaglia vittoriosa per il No alla cancellazione referendaria del divorzio. Ripetuta contro l’abrogazione dell’aborto nel 1982.
Penna giuridica di punta, Giuseppe Branca. Anche qui una grande ripresa della politica urbanistica per l’interesse generale e contro le speculazioni immobiliari voraci in corso da decenni, con articoli di Italo Insolera, Vezio De Lucia, Franco Ferrarotti, Alfonso Testa e miei. I “cedernisti”, come ci chiama l’attuale Messaggero. E articoli di storia firmati da Alberto Caracciolo, Giorgio Spini, Mario Sanfilippo. Un gran bel periodo il 1974-1986.
Qualcosa da spartire con l’oggi? “È la stampa bellezza! E tu non ci puoi fare niente!” grida Humphrey Bogart nel fragore delle rotative che stampano una grande inchiesta giornalistica contro potenti interessi. I giornalisti di allora lo tenevano bene a mente. Così si dice.