Il Fatto 17.9.18
Con omicidi e “affari” la Russia di Putin dilaga in mezza Africa
Nella
Repubblica Centrafricana gli uomini di Mosca si propongono come garanti
di equilibri, di “cessate il fuoco” provvisori, di intermediazioni. E
forniscono armi, con l’ok dell’Onu, aggirando embarghi
di Michela A. G. Iaccarino
Sopra
la terra. Al loro funerale a Mosca, gli amici che stringevano tra le
mani i ritratti in bianco e nero, erano vestiti dello stesso colore.
Sotto la terra. Tre tombe, tre giornalisti russi, tre omicidi in
un’imboscata sotto i cieli d’Africa ad inizio agosto. Tre lapidi: Orkhan
Djemal, ex reporter di Novaya Gazeta (lo stesso giornale di Anna
Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006), corrispondente veterano di
guerre d’Africa, il suo cameraman Kiril Radchenko e Aleksandr
Rastorguev, autore di un documentario sull’opposizione russa. Proprio
come la loro patria, la Russia, anche l’Africa si è rivelata terra
fatale per i giornalisti. Sono morti nell’ex colonia francese, la
Repubblica Centrafricana, a 300 km da Bangui, la capitale, lungo la
strada sabbiosa per Sibiut. Uccisi in quella che le forze dell’ordine
del luogo hanno bollato come rapina, ma che ai loro colleghi sembra
un’imboscata.
È una storia russa di armi e soldati sopra la terra,
di oro, uranio e cadaveri sotto. I giornalisti indagavano sui mercenari
russi spediti nella zona, ma come tutti quelli che si avvicinano ai
contractor del gruppo Wagner, sono tornati indietro cadaveri. Già
avvistati in Siria e Ucraina, i Wagner sarebbero foraggiati anche in
varie zone d’Africa dallo “chef di Putin”, l’oligarca Yevgheni
Prigozhin, amico del presidente. Il Cremlino smentisce da sempre non
solo il legame con i mercenari, ma la loro stessa esistenza. Prima di
morire i tre giornalisti russi si dirigevano forse proprio alla base
Wagner in cui avevano già una volta provato ad entrare o forse, scrive
Vedomosti, alla miniera di Ndassim, ex base dei gruppi armati musulmani
Seleka.
Ancora un tre. Dopo tre settimane dal loro assassinio,
invece di investigare la loro morte, Mosca ha firmato un accordo di
espansione della cooperazione militare con il Paese dove i tre reporter
hanno perso la vita. È il ministro della Difesa Serghey Shoigu ad agosto
a dichiarare che nuovi accordi col Centrafrica “hanno rafforzato i
legami nella sfera della difesa tra i due Paesi”. Il governo
centrafricano ha un potere di controllo molto limitato sul suo stesso
territorio, per gli scontri tra bande armate di cristiani e coalizioni
di milizie musulmane. La Russia si propone come garante di protezione
parziale di equilibri, di cessate il fuoco conciliatori e come
intermediaria con le milizie ribelli che occupano le miniere. Mosca
offre ciò di cui abbonda. Forgiati nelle lande siderali dagli Urali
all’estremo Est, i fucili russi diventano roventi sotto il sole dei
deserti. Vengono impugnati dalle Faca, le forze armate della Repubblica
Centrafricana. Le armi sono state consegnate con il consenso Onu dopo le
pressioni di Mosca, nonostante l’embargo del 2013.
La Russia
offre difesa, ma anche protezione ed “esperienza”. Armi e uomini:
istruttori ufficiali dell’esercito. O i Wagner, ma nessuno può provarlo e
chi ci ha provato è morto. Mentre il mondo li osserva sugli schermi
nelle guerre d’Ucraina e di Siria, sono in pochi a notarli laggiù:
pallidi ragazzi russi in divisa mimetica tra le dune sabbiose del
continente nero. Ma solo almeno 175 gli istruttori di Mosca in
Centrafrica e su di loro investigava il trio di reporter del gruppo Icm,
Investigation Management Center: la fondazione finanziata da Mikhail
Khodorkovsky, magnate del petrolio della compagnia Yukos nella sua prima
vita, detenuto politico in Siberia perché nemico di Putin nella seconda
e russo in esilio nella dorata Londongrad nella sua terza ed ultima
esistenza, dedicata alla sovvenzione di media indipendenti che indagano
sugli “affari” del Cremlino.
Quando le sanzioni anti-russe hanno
ridotto i flussi di denaro in entrata ed uscita verso Europa e America,
quando l’urgenza economica è diventata somma, i russi hanno cominciato a
voltare piano le spalle all’ovest, cercando nuovi alleati più sud. Il
2018 è stato per Mosca l’anno di accordi sotterranei in Africa che sono
diventati negoziati firmati in conferenze ufficiali. Zimbabwe, Sudan e
Centrafrica, non amati dall’ovest e dalle sue sanzioni, ora sono legati
alla diplomazia militare del Cremlino.
E se oggi la Russia è in
Africa è anche perché ieri l’Africa era in Russia: nelle università
sovietiche l’educazione era gratuita come la formazione politica per
attivisti dei movimenti di liberazione o per guerriglieri comunisti in
armi in arrivo dal Senegal fino al Mali, che poi tornavano indietro con
dottrina, istruzione e appoggio finanziario per le rivolte popolari.
Rispolverare quei legami storici, rinsaldare i vecchi contatti della
Guerra fredda, dopo il ritiro delle risorse dal continente per il
collasso dell’Unione sovietica è stato difficile, ma non troppo. Se oggi
Mosca media tra Centrafrica e gruppi armati in Sudan, senza l’Unione
africana stessa, è per tentare di riservarsi una via d’accesso
privilegiata a riserve di diamanti, oro, uranio nelle zone al momento
controllate dai ribelli.
Sono state le visite ufficiali di Serghey
Lavrov e Valentina Matviyenko, presidentessa del Consiglio federale
russo, a rendere saldi tutti questi rapporti lo scorso marzo.
Dall’Angola al Namibia, dal Mozambico all’Etiopia, fino allo Zimbabwe.
Accordi di cooperazione militare reciproca e di perforazione per la
ricerca di minerali sono stati stretti come le mani del ministro degli
Esteri russo ai suoi colleghi omologhi africani. Ora lungo tutto il
Corno d’Africa sulla mappa c’è l’ombra di Mosca, che solo una settimana
fa ha chiesto la rimozione delle sanzioni al Consiglio di Sicurezza “per
i processi di regolarizzazione e i profondi cambiamenti positivi degli
ultimi anni, in particolare tra Eritrea ed Etiopia che hanno ripreso i
contatti diretti”. A quelle latitudini diplomazia e commercio vengono
confusi spesso o combaciano del tutto. Non si dove, non si sa quando, si
sa solo che succederà: è stato riferito a inizio di questo settembre
dalla Duma russa di uno sbocco militare sul Mar Rosso e una base
logistica russa è in fase di avvio in Eritrea.
Sotto la terra
d’Africa i russi scavano e cercano: idrocarburi, diamanti, uranio, oro,
tutto ciò di cui l’Africa è piena. Sopra la terra li armano. Più che un
omicidio di tre reporter, ad agosto c’è stato un assassinio del
giornalismo nel continente e il lavoro dei tre sulle armi russe in
Africa non è stato continuato da nessuno. Erano andati ad investigare
sui Wagner, poi nessuno è andato ad investigare sulle loro morti.