lunedì 10 settembre 2018

Il Fatto 10.9.18
“Noi, come Costa Concordia”. Il terrore del Pd di affondare
di Wanda Marra


“Io non vengo né dal dal Pci, né dalla Dc, né dai Ds, né dalla Margherita. Sono del Pd”. Occhi azzurri di una sfumatura che in Italia non si trova, accento toscano, ma nome straniero: Bernard Dika ha 20 anni e racconta: “I miei genitori sono arrivati in Puglia sui barconi”. Albanese di origine, iscritto al circolo di Lanciano (un paese vicino Pistoia) si conquista gli applausi più spontanei della Festa dell’Unità di Ravenna, mentre interviene all’Assemblea dei circoli. “Dobbiamo avere una linea più chiara sui migranti: noi salviamoli tutti, ma loro rispettino la legge”. Ovazione. Ex presidente del Parlamento degli studenti toscani, fu uno dei Millennials scelti da Renzi per la direzione, tra le contestazioni dei suoi ragazzi. La platea forse non lo sa o non se ne cura: ha un aspetto fresco, sa parlare. Visto il contesto, quasi basta.
“Siamo tutti volontari, siamo tanti e siamo qui, per trascorrere con voi questa festa del Pidì”. Sopra lo stand che vende bibite, lo striscione pare studiato per trasmettere entusiasmo ecumenico. Al Pala De Andrè si entra attraverso i tornelli. Poi c’è un banchetto che vende frutta. Dopodiché lo scenario si fa familiare: prima le auto in mostra, poi i ristoranti. Nello stand dedicato alla “pesca gigante”, ovvero alla possibilità di vincere oggetti di ogni tipo, dalle biciclette ai peluche, c’è Alvaro. “È dal 1987 che lavoro qui. Tutte le sere ci sono circa 20 volontari. Un buon numero, anche se molti non vengono più, per motivi politici”. Notazione per Renzi: “Era già venuto l’estate del referendum. Pioveva, c’era tantissima gente”. Si percepisce un pizzico di nostalgia. Non tanto per lui, quanto per un’epoca in cui la battaglia politica era fiammeggiante. Dopo anni di liti, divisioni, scontri frontali, coltellate alle spalle, a Ravenna il clima che si respira fa venire in mente il titolo di una poesia di Giuseppe Ungaretti, “Allegria di naufragi”. C’è una strana specie di euforia, quella che arriva quando quasi tutto è perduto. Ma anche prudenza. E paura di sparire. “Sembriamo la Costa Concordia”, commenta un dirigente della zona. “Sali a bordo, cazzo!”, è un’esortazione di sottofondo dedicata a tutti.
Rispetto alle ultime feste, è un altro film. 2012, Reggio Emilia: irrompeva Renzi sulla scena, nello sconforto degli ex Ds che si vedevano sfilare il partito; Genova 2013: il Porto Antico si trasformava in un palcoscenico, ancora per Renzi. Bologna 2014: era l’anno dei leader del Pse in camicia bianca sul palco. E poi, Milano 2015, nel disinteresse dell’allora premier, con presenze in calo vertiginoso, Catania 2016, la Festa del Sì, con le forze dell’ordine all’entrata e proteste in tutta la città. Imola 2017, deserto dei Tartari. Quest’anno, l’organizzazione è andata sul sicuro: ha scelto una festa collaudata, quella di Ravenna. La partecipazione – che c’è stata – era garantita e i rischi calcolati: il dibattito con Fico, quello con la Casellati, la presenza di renzianissimi accanto a fuoriusciti. Solo l’arrivo di Pier Luigi Bersani evoca qualcosa della fu battaglia frontale. Uno del pubblico gli urla “fuori”, altri lo applaudono speranzosi. Il “popolo della sinistra” qui dalla scissione non si è ripreso. Eppure sopporta più o meno tutto con pazienza. Accoglie Renzi con l’affetto che si dà a un figlio finito fuori strada, non si infiamma quando Vincenzo De Luca attacca Martina. Ascolta con educato interesse il dibattito dell’ultima sera in cui il terzetto composto da Annalisa Chirico del Foglio con fiocco in testa manco fosse a Venezia, Jacopo Jacoboni de La Stampa che fa una lezione su Steve Bannon e l’ex direttore de l’Espresso, ora senatore dem, Tommaso Cerno, che si infiamma ad arte sui drammi della politica e riesce ad oscurare Maria Elena Boschi. La chiusura di Martina scivola via in sordina: la gente c’è (ma meno di quella arrivata per Renzi), il gruppo dirigente è assente quasi in blocco, i renziani disertano ostentatamente. Copione scritto per un partito in crisi. Più che rabbia si sente saturazione rispetto ai dirigenti. “Non frega niente a nessuno chi ha votato per chi al congresso”, dice tra gli applausi Giulia Bernagozzi, neo segretaria di Navile, il quartiere della Bolognina. Sul congresso futuro confusione massima. “Se si candida Renzi vince lui. La gente lo vuole”, dicono in molti ancora renziani. Ma quale “gente?”, “certo nel paese, la gente lo odia”. Corti circuiti. Alla Festa è arrivato anche Nicola Zingaretti. “Si è fermato a parlare con noi per mezz’ora”, racconta Michelangelo Vignoli, segretario dei Giovani Pd di Ravenna. E Renzi? “Lui no, ma abbiamo imparato a conoscerlo. Non sono mai stato un fan della parola Rottamazione, ora spenderei qualcosa per quella Rinnovamento. Su Zingaretti candidato, però, la cautela è collettiva: uno che fa discorsi condivisibili, ma non scalda i cuori.
“Quest’anno non è andata male”, dicono sollevati tutti alla fine. I riflettori (e l’energia) sono altrove. L’aspettativa è sotto terra, la delusione è impossibile, la paura fa di necessità virtù.