lunedì 10 settembre 2018

Il Fatto 10.9.18
L’amor perduto di Maiorca per la ferocia di Franco
Ottant’anni dopo - Tra la fine di luglio e il novembre del 1938 un operaio torinese smarrì moglie e figlia nella Guerra di Spagna
L’amor perduto di Maiorca per la ferocia di Franco
di Massimo Novelli


Ottant’anni fa, tra la fine di luglio e il novembre del 1938, sul fiume Ebro le forze repubblicane spagnole e i nazionalisti di Francisco Franco si affrontarono nella battaglia più lunga e tremenda della guerra civile scoppiata nel luglio del 1936. Nello scontro, che si concluse con la sconfitta delle truppe antifasciste, si batterono per l’ultima volta i volontari delle Brigate Internazionali. Organizzati dai comunisti, dal 1936 erano accorsi in Spagna in circa 40 mila, da oltre 50 nazioni, per difendere la repubblica. Più della metà di loro venne uccisa, dispersa o ferita nel corso del conflitto. Nell’ottobre del 1938, su pressione delle democrazie occidentali, che propugnavano il “non intervento”, il governo spagnolo ordinò il ritiro delle Brigate Internazionali.
Tra coloro che furono feriti sull’Ebro e che raggiunsero la Francia, per essere rinchiusi in uno dei vari campi di internamento, tra Argeles, Gurs e Vernet, c’era l’operaio torinese Pierino Bosco, detto “Maiorca”. Classe 1906, comunista, nel 1941 fu tradotto in Italia e confinato a Ventotene. Liberato dopo il 25 luglio ’43, e ritornato a Torino, nel settembre salì in montagna e fece il partigiano nelle formazioni garibaldine in Valle di Susa, Valli di Lanzo e nelle Langhe. Non aveva mai dimenticato la Spagna, sempre viva e lacerante nel cuore e nella memoria. Ricordava la guerra contro Franco con la Brigata Garibaldi e, prima, nell’agosto del ’36, nella Centuria “Gastone Sozzi”, con cui aveva preso parte allo sfortunato sbarco alle Baleari: da qui il nome di battaglia di “Maiorca”. E rammentava le ferite riportate: al polmone destro (a Palahustan), a una gamba (a Pozoblanco), alla regione glutea (il 22 agosto ’38, sull’Ebro). Ma Pierino, soprattutto, pensando alla Spagna, rivedeva una donna, la sua compagna, e una bambina, sua figlia, che era stato costretto ad abbandonare ad Albacete. Non aveva più saputo niente di loro. E voleva sapere. Così Pierino Bosco, operaio alla Fiat, discriminato perché militante del Pci, un giorno decise di ritornare in Spagna. Un amico che allora lo accompagnò, Renzo Solfaroli, oggi rammenta che partirono quando Franco era ancora vivo e al potere. Ci andarono probabilmente negli anni Sessanta, forse quando in Italia Fred Bongusto aveva lanciato una canzone che si chiamava Il mio amore è nato a Malaga. Albacete è distante cinquecento chilometri da Malaga, però quella canzone doveva averla ascoltata più volte anche Pierino. E su quelle note aveva fantasticato, cambiando il nome di Malaga con Albacete.
La guerra era finita, la dittatura franchista era sempre al suo posto. La Spagna, tuttavia, aveva mutato volto. Pierino Bosco e i suoi amici, Solfaroli e un ex comandante partigiano, giunsero dunque ad Albacete. Chiamata la Guernica della Mancha per i tanti bombardamenti subiti, come quello effettuato nel febbraio del 1937 dai nazisti della Legione Condor, la città non era più quella che ricordava “Maiorca”. Le bombe e poi la ricostruzione avevano cancellato larga parte della vecchia Albacete, dove si erano radunati ed erano stati addestrati i volontari delle Brigate Internazionali. Pierino, comunque, non si scoraggiò. Percorse le strade di ciò che restava del borgo antico; girò per osterie e botteghe, interrogò i vecchi, chiese alle donne. Alla fine riuscì a strappare qualche brandello di notizia dall’oblio del tempo e della gente: i fascisti avevano ucciso la sua compagna; la sua bambina, ormai una donna matura, all’epoca era stata data in adozione, e nessuno l’aveva più vista ad Albacete. “Per Pierino – dice adesso Solfaroli – fu un colpo molto duro, da cui non si riprese più”.
Pierino Bosco, che dopo la guerra di Spagna non si era più risposato, morì nel tardo novembre del 1988. Negli ultimi anni aveva gestito un circolo del Pci, e si vedeva con gli amici della vecchia Trattoria del Ponte Barra, nel borgo torinese di Sassi, ai piedi della collina. Ebbe funerali rigorosamente civili. Su l’Unità furono pubblicati alcuni necrologi, in cui venne rievocato il suo passato di antifascista emigrato nel 1931 in Francia e in Corsica, il volontario di Spagna dell’estate del ’36, il partigiano e il commissario politico delle “Garibaldi”, l’attivista del Pci alla Fiat e il militante della sezione comunista di Mongreno-Sassi. Nessuno, in ogni caso, accennò a quel suo viaggio di ritorno in Spagna, nella “rossa terra di Spagna”, come aveva scritto un poeta. Furono dimenticati anche il nome della compagna e della figlia di “Maiorca”. Se li è portati Pierino nella tomba, sono rimasti per sempre con lui come i versi di quella canzone della guerra, in quell’estate del 1938: “El Ejército del Ebro/ rumba la rumba ba/ una noche el río pasó/ ay Carmela, ay Carmela”.