Repubblica 10.9.18
Così Dante Alighieri entrò nel Pantheon di Mao Zedong
La fortuna della "Divina Commedia" a Pechino: parla l’italianista Wen Zheng
Nato
a Pechino nel 1974, Wen Zheng è docente di lingua e letteratura
italiana all’Università di Studi Internazionali di Pechino (BFSU) e ha
tradotto in cinese, fra gli altri, Boccaccio, Calvino ed Eco. A Ravenna
interverrà mercoledì 12 settembre
Intervista di Leonetta Bentivoglio
Per
la neonata Cina comunista, Dante Alighieri rappresentò un vessillo
ideologico e culturale. Formula quest’affermazione, che ai non-esperti
richiede un salto acrobatico di prospettive geografiche e temporali, il
grande italianista cinese Wen Zheng, il quale esporrà la tesi nel corso
di un intervento su «Dante e le sue opere in Cina» dopodomani a Ravenna,
in apertura della manifestazione "Dante2021". Nato a Pechino nel 1974,
Wen Zheng è docente di lingua e letteratura italiana all’Università di
Studi Internazionali di Pechino e ha tradotto in cinese Boccaccio,
Calvino ed Eco. In un libro su Lu Xun (1881-1936), fondatore della
lingua cinese moderna, Wen Zheng dimostra come, anche attraverso la
diffusione che ne fece Lu Xun, Dante sia entrato nel pensiero cinese
d’inizio Novecento. Wen Zheng accetta di anticipare da Pechino i
punti-chiave della sua conferenza.
Può spiegare il ruolo di Lu Xun nella letteratura cinese moderna e il suo nesso con Dante?
«Lu
Xun è stato un sommo scrittore. Dalla fine dell’Impero al conflitto
cino-giapponese e alle guerre civili che portarono alla Repubblica
popolare, visse momenti cruciali della nostra storia e seppe
trasformarli in vicende allegoriche. Ma soprattutto nel Diario di un
pazzo, 1918, usò il cinese volgare detto
baihua rigettando per la prima volta la lingua classica, così come a suo tempo Dante abbandonò il latino per la lingua volgare».
Si nutre di quest’analogia la relazione di Lu Xun con l’autore della "Commedia"?
«Sì.
Nel saggio Sulla forza della poesia di Mára, Lu Xun esalta i poeti del
romanticismo europeo e indica la centralità di Dante nella cultura
italiana. Proprio mentre la Cina stava cercando una nuova identità, Lu
Xun esprimeva l’idea che la creazione della lingua italiana da parte di
Dante avesse costruito l’anima stessa del suo popolo».
È in quest’ottica che Dante condiziona la Cina del primo Novecento?
«Esatto.
All’alba del secolo gli intellettuali cinesi cominciano a occuparsi del
pensiero politico di Dante e del suo vigoroso spirito riformatore.
Oltre a Lu Xun, coglie spunti da Dante lo scrittore Hu Shi (1891-1962),
di posizione politica opposta rispetto a Lu Xun (Hu Shi emigrò negli
Usa). In Proposte per la riforma della letteratura, del 1917, Hu Shi
sostiene che la Cina, imitando l’Italia del quattordicesimo secolo,
dovrebbe adottare la lingua volgare e generare un corpus di opere vive
contro la letteratura classica ormai morta. Il suo riferimento è l’opera
di Dante De vulgari eloquentia ».
Lu Xun fu il solo scrittore
legittimo durante la Rivoluzione culturale. Perché?
«Era
in linea con le concezioni di Mao Zedong, che in Discorsi su Lu Xun,
del 1937, manifestava un pieno apprezzamento nei suoi confronti. La
stima di Mao lo rese il grande letterato del proletariato cinese e si
diceva che le sue opere fossero "un giavellotto e un pugnale lanciati
verso i nemici".
Oggi è stato ridimensionato il giudizio su di
lui. Un tempo Lu Xun era un antidoto necessario contro le resistenze
verso il sistema, ma nella società contemporanea il clima è cambiato e
non ce n’è più bisogno».
Dante è conosciuto in Cina?
«Da
fine Ottocento si è parlato di lui in libri cinesi ed è entrato nei
nostri orizzonti. Sia la rivoluzione borghese del 1898, che portò al
crollo della monarchia feudale, sia il "Movimento della nuova cultura
del 4 Maggio del 1919", hanno tratto da Dante un supporto fondamentale.
Sembra incredibile che un poeta occidentale abbia influito su un remoto
Paese orientale cinque o sei secoli dopo essere morto, ma è successo.
Tuttavia nel primo quarantennio del Novecento nessun cinese aveva letto La Divina Commedia per intero».
Non circolavano traduzioni complete?
«No.
Nel 1921 Qian Daosun (1887-1966) tradusse i primi tre canti
dell’Inferno per il Mensile di narrativa e in seguito propose in cinese
altri due canti, apparsi nel ’29 insieme ai primi tre sulla rivista
Rassegna critica. Usò lo schema metrico dei Canti di Chu di oltre 2200
anni fa, e sebbene la sua traduzione si sia applicata solo su cinque
canti è considerata a tutt’oggi la migliore. Due versioni intere
uscirono negli anni Quaranta, una in prosa e l’altra in poesia moderna,
senza rime. Con la nascita della Cina comunista (1949), la fama di Dante
s’intensificò grazie a Friedrich Engels, che nella prefazione italiana
al Manifesto del Partito Comunista lo aveva definito l’ultimo poeta
medioevale e il primo della modernità, e questa valutazione è riportata
nel manuale di Storia dei nostri licei. In Cina La Divina Commedia è
stata vista come simbolo di abbattimento del feudalesimo ed esaltazione
di unità nazionale: Dante riflette gli interessi del popolo e svela i
crimini della vecchia macchina statale. Alla fine della Rivoluzione
culturale sono riprese le traduzioni e una delle più notevoli è stata
quella che della Commedia fece Tian Dewang (1909-2000), che all’impresa
votò gli ultimi diciott’anni della sua vita».