Corriere Salute 9.9.18
Ma possiamo scrivere la nostra vita in un libro
di D.d.D.
A
fronte di chi crede di ricordare ciò che non può ricordare, c’è chi
vede davvero le sue memorie svanire nelle nebbie dell’involuzione
cerebrale.
Interi pezzi di vita che vanno perduti, comprese quelle
che erano state le gioie e i momenti più belli. Per porre rimedio,
almeno parziale, a tale perdita, si può ricostruire la propria vita in
un libro o un file multimediale, il cosiddetto Life story book, che una
ricerca pubblicata sulla rivista International Psychogeriatrics ha
dimostrato avere un effetto positivo nell’aiutare a riportare alla
memoria episodi della vita vissuta e nel migliorare le relazioni tra chi
è affetto da demenza e i suoi familiari.
La ricerca è stata
realizzata da un gruppo di psicologi olandesi guidati da Teuntje Elfrink
dell’Università di Twente (Olanda), e ha preso in esame 14 studi
precedentemente realizzati in vari paesi sull’utilizzo dei Life story
book come strumento utile anche per generare maggiore attenzione verso i
bisogni di chi soffre di demenza. Fino a contribuire a realizzare un
contesto di cura personalizzata, rispettosa delle esperienze e
dell’unicità di ogni singola persona.
«Il valore dei Life story
book risiede nello stimolare il recupero di memorie ed emozioni positive
e nel migliorare le relazioni con la persona affetta da demenza»
spiegano gli autori della ricerca. «Valutazioni quantitative supportano
questa ipotesi, dal momento che sono stati riscontrati miglioramenti
nella memoria autobiografica, nel livello di depressione e nella qualità
di vita delle persone con demenza, così come nelle relazioni e nella
comunicazione tra chi soffre di demenza e chi ha il compito
dell’accudimento».
I Life story book possono avere diverse forme e
dimensioni. Alcuni sono basati sulla scrittura e hanno una lunghezza di
poche pagine, altri sono di molte decine di pagine e corredati da
immagini e fotografie o articoli di giornale; altri ancora sono
multimediali e possono comprendere registrazioni e filmati.
La
maggior parte dei book realizzati nel corso degli studi entrati in
questa revisione sistematica avevano una struttura di tipo cronologico,
che ricostruiva il normale andamento dell’esistenza. Nel corso di alcuni
di questi studi sono state anche individuate raccomandazioni sulle
modalità per trattare gli eventi negativi e spiacevoli, su come
raccontare episodi che coinvolgono altre persone, su come dare una
conclusione positiva alla storia personale.
Alla realizzazione dei
book, oltre alla persona interessata, possono partecipare più familiari
e i caregiver professionali, dal momento che una delle finalità è
appunto stimolare coloro che stanno attorno a chi soffre di demenza a
rispettare e riconoscere la sua individualità. E quindi a superare
l’approccio di tipo medico-routinario inevitabilmente prevalente
soprattutto nelle strutture istituzionali.
I risultati positivi di
questa revisione suggeriscono che la pratica del Life story book
potrebbe diventare uno degli strumenti da mettere in atto per aiutare le
persone con demenza a recuperare parti delle propria vita che rischiano
di andare perdute per sempre, e i loro familiari a impegnarsi in
un’attività che faciliti le relazioni. Tuttavia, secondo la
professoressa Elfrink, tutti gli studi presi in esame erano stati
realizzati su poche persone e quindi c’è bisogno di valutare più
accuratamente l’efficacia di tali interventi.
«Ora bisognerà
avviare la fase terza della sperimentazione» concludono gli autori della
ricerca, «da realizzare attraverso studi randomizzati e controllati, al
fine di stabilire con maggiore certezza gli effetti dei Life story
book».