Corriere Salute 9.9.18
Siamo spesso certi di quello che
rammentiamo. Ma in realtà la memoria ci tradisce più di quanto non
sospettiamo. E ora una ricerca dimostra anche che episodi della prima
infanzia entrano nella nostra «autobiografia» solo attraverso vie
indirette, seppure facciamo fatica ad accettarlo
Non possiamo ricordare nulla prima dei tre anni
di Danilo di Diodoro
Siamo
spesso sicuri di quello che ricordiamo, ma la memoria non sempre è
affidabile e ora giunge un’altra conferma della sua possibile fallacia.
Una
ricerca ha dimostrato come molti siano convinti di avere ricordi
talmente precoci che dovrebbero essersi formati quando nel cervello non
si erano ancora sviluppate le strutture necessarie allo scopo. Perché un
evento possa fissarsi nella memoria bisogna avere almeno tre anni e
qualche mese, quando il cervello è «adeguato» e sono presenti anche le
prime abilità linguistiche. E così un gruppo di ricercatori coordinati
da Martin Conway del Department of Psychology dell’University of London è
rimasto interdetto quando, durante una ricerca, ha scoperto che quasi
il 40% di un campione di 6 mila adulti intervistati era convinto di
ricordare episodi personali risalenti ai due anni. Lo studio ha
coinvolto soggetti di ogni età, a caccia non solo di qualche ricordo
precoce, ma esattamente del primo ricordo che ciascuno riteneva di
avere. «Ben 2.478 persone che hanno risposto al questionario (il 38,6%
del campione) datavano le loro prime memorie a quando avevano due anni o
prima» dicono gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista
Psychological Science. «E sorprendentemente, 893 persone (13,9% del
campione) facevano risalire le prime memorie a un anno o anche prima. Le
abbiamo chiamate “prime memorie improbabili”».
Per tentare di
capire come mai tante persone siano convinte di poter rammentare ciò che
oggettivamente è impossibile ricordare, i ricercatori hanno fatto
diverse ipotesi. Una è che alcuni dei ricordi potrebbero rispecchiare
eventi realmente accaduti nella vita di quella persona, ma che siano
stati collocati temporalmente in maniera erronea.
I ricordi
sarebbero semplicemente stati attribuiti a un’età precedente rispetto a
quella in cui gli eventi si sono davvero verificati. Ma dato che alcuni
ricordi come «stavano cambiandomi il pannolino...», oppure «volevo dire
qualcosa a mia madre, ma ancora non sapevo parlare...» si riferiscono a
un periodo della vita molto precoce, l’ipotesi dell’errata attribuzione
temporale non convince gli stessi ricercatori.
Sembra più
convincente un’altra possibilità: si tratterebbe in realtà di memorie
immaginate e non di ricordi di avvenimenti di cui le persone hanno
direttamente fatto esperienza. Quindi, ci tengono a specificare i
ricercatori, non sono memorie false, ma, per così dire, ricostruite a
tavolino. «La nostra idea è che queste persone, quando “ricordano” le
prime improbabili memorie, stiano ricordando l’immagine di un oggetto o
di un’azione effettivamente risalenti alla loro prima infanzia, che sono
però basati su un’esperienza, una fotografia o una descrizione,
derivanti da storie familiari, senza che loro siano coscienti di questa
fonte del ricordo. Dev’essere così per ricordi del tipo “da piccolo
l’unica cosa che volevi fare era camminare”, oppure “la prima parola che
hai detto è stata...”».
Oggi si sa che tutti i ricordi sono
soggetti a continui fenomeni di rielaborazione, quindi più che altro
sono ricostruzioni, che oltretutto possono modificarsi ogni volta che
vengono rievocate. Una storia della propria vita raccontata in modo
leggermente diverso da come era stata già raccontata, facilmente va a
sostituire la versione precedente.
«Inoltre tutti i ricordi
subiscono una compressione temporale e quindi anche da questo punto di
vista non rappresentano l’esperienza dalla quale derivano» dice ancora
Martin Conway. «Allo stesso modo tutti i ricordi contengono dettagli che
sono semplicemente dedotti, sia consciamente, sia inconsciamente. Ad
esempio, come è stato dimostrato da una ricerca realizzata qualche anno
fa sempre dal gruppo del professor Conway, i vestiti sono poco ricordati
nelle memorie infantili. «Eppure le persone intervistate durante questa
nuova ricerca dichiaravano di ricordare di essere state vestite. Lo
stesso accade per altri dettagli di uno specifico ricordo, come il tempo
che faceva quel giorno, il momento della giornata, le conversazioni che
erano in corso e così via, che sono sempre dedotti piuttosto che
ricordati. I ricordi fanno dunque parte di una sorta di narrativa della
vita di una persona e la modalità con la quale corrispondono
all’esperienza reale e diventano coerenti con il resto dei ricordi è un
fenomeno complesso e dinamico».
Quello della coerenza è certamente
un punto fondamentale della memoria, che cerca sempre di selezionare e
aggiustare i ricordi proprio perché nel complesso svolgono un’importante
funzione di identità individuale.
Concludono gli autori
dell’indagine: «Il valore personale e il significato di una memoria
immaginata risiedono nella sua capacità di essere coerente con altri
pezzi della memoria autobiografica, piuttosto che nella sua
corrispondenza a un evento reale sperimentato».