Repubblica 9.9.18
L’era dell’incertezza
Per stabilire il vero rinunciamo ad avere ragione
L’autore
è un antropologo, linguista e scienziato cognitivo francese. Terrà una
conferenza venerdì 14 alle 16.30 a Modena, dal titolo "Credenze. Ragioni
e pregiudizi".
di Dan Sperber
Con il titolo
"Verità" la manifestazione di Modena, Carpi e Sassuolo da venerdì 14
indaga un tema centrale per le scienze, l’individuo, la politica. A
cominciare dalla necessità del dialogo, come spiega un pensatore
Anche
le altre specie animali hanno conflitti, ma solo gli esseri umani
possono essere in disaccordo: con gli amici, i genitori, i nostri
partner. A volte siamo in disaccordo con persone che conosciamo appena,
incontrate al bar o al lavoro.
Possiamo addirittura essere in
disaccordo con persone che non conosciamo, di cui abbiamo letto le
opinioni sui giornali o sul web.
I vaccini devono essere obbligatori per i bambini?
Immagino
che abbiate tutti un’opinione forte sulla questione. Almeno per me è
così. Qual è la vostra opinione? Non la conosco. Ma anche se non siamo
d’accordo, possiamo avere un atteggiamento comune sul dibattito stesso.
Quando
non siamo d’accordo con gli altri, non pensiamo quasi mai che i nostri
oppositori non abbiano la facoltà della ragione. Anzi: li rimproveriamo
di fare un uso scorretto della ragione. Dai tempi di Platone e
Aristotele i filosofi hanno sostenuto che la ragione è qualcosa che
hanno tutti gli esseri umani. Cartesio pensava addirittura che tutti gli
esseri umani ne abbiano in uguale misura.
Ma che cos’è la
ragione? La maggior parte dei filosofi e degli psicologi sostiene che
sia una facoltà di ordine superiore la cui funzione è di permetterci di
arrivare ad avere credenze più certe. Ma allora, se abbiamo tutti questa
facoltà, come mai non convergiamo tutti sulla verità?
Com’è possibile che la ragione a volte sembri esacerbare i disaccordi invece che risolverli?
Più
di mezzo secolo di psicologia cognitiva ci insegna che la stragrande
maggioranza delle persone si sbaglia nel risolvere problemi di
ragionamento anche piuttosto semplici. Si potrebbe concludere dunque che
la ragione non funziona tanto bene.
Nel nostro libro The Enigma
of Reason, Hugo Mercier e io sosteniamo un’altra tesi: la funzione della
ragione non è di permetterci individualmente di acquisire conoscenze
più certe, ma di scambiare informazione e opinioni in modo più efficace.
Usiamo la ragione per convincere gli altri. Soppesiamo le ragioni che
gli altri ci danno per decidere se credere o no a quello che ci dicono.
Quando produciamo ragioni in un dialogo, non siamo oggettivi: il nostro
scopo non è di scoprire la verità, ma di convincere gli altri di
un’opinione che noi pensiamo già sia vera. Anche quando ragioniamo da
soli, lo facciamo come se stessimo cercando di convincere un
interlocutore, e anche in questo caso non siamo oggettivi. In un
dialogo, un pubblico reticente ad accettare il nostro punto di vista ci
obbligherà ad affinare i nostri argomenti e, a volte, a cambiare idea.
Quando ragioniamo da soli (o con persone che hanno le stesse opinioni),
l’uso della ragione tende a renderci ancora più convinti di quel che già
crediamo, più "polarizzati" di quanto fossimo prima.
Dunque sì,
la maggior parte di noi pensa che ci sia un’opinione giusta e una
sbagliata sui vaccini e su altre questioni controverse. Pensiamo tutti
che le nostre opinioni siano giuste (altrimenti le avremmo scartate) e
che quelle di chi sta dall’altra parte siano sbagliate.
Eppure io
sono convinto che la differenza di opinioni non dipenda dal fatto che le
persone che la pensano come me sono razionali e gli altri non sanno
usare la ragione. La ragione non è uno strumento per scoprire la verità,
ma per produrre argomenti. Per usare così la ragione, ci deve essere un
dialogo con una differenza iniziale di opinioni e un interesse comune
per la verità. Ci dev’essere anche da entrambi i lati sufficiente
modestia cognitiva per considerare la possibilità che ci stiamo
sbagliando ed esaminare gli argomenti degli altri con apertura mentale.
Anche
se abbiamo tutti la facoltà della ragione, la modestia cognitiva,
l’apertura mentale e la tolleranza reciproca sono qualità più rare. Si
può pensare però, in una prospettiva storica, che queste qualità tendano
ad aumentare nel tempo.