Corriere Salute 9.9.18
Per qualcuno il problema è non riuscire a dimenticare
di Luigi Ripamonti
«Noi
in un colpo d’occhio percepiamo tre bicchieri su un tavolo; Funes tutti
i rami e i grappoli e i frutti di un pergolato. Sapeva le forme delle
nuvole australi dell’alba del 20 aprile 1882 e poteva paragonarle nel
ricordo con le venature di un libro rilegato in pelle che aveva visto
una sola volta». Così Jorge Louis Borges descrive «Funes il memorioso»,
al secolo Ireneo Funes, un contadino argentino che dopo essere caduto da
cavallo e aver battuto la testa acquisisce il talento di ricordare
assolutamente tutto.
E ciò che si dice di Funes si potrebbe dire
di altri personaggi divenuti famosi nel mondo scientifico, ma balzati
anche agli onori della cronaca e persino del cinema, per le loro
incredibili storie legate alla memoria.
Dal paziente H.M., che
dopo aver subito l’asportazione dell’ippocampo, una piccola parte del
cervello, conservò i ricordi acquisiti fino a quel momento ma non potè
mai più formarne di nuovi. Divenne vittima cioè di un’amnesia
anterograda. La sua vicenda — come spiega il neurologo Rodrigo Quian
Quiroga in «Borges e la memoria» (Erickson) — fu decisiva per capire
l’importanza dell’ippocampo nella formazione dei ricordi». L’ippocampo è
una specie di regista, che sa dove e come far archiviare al cervello
ciò che serve ricordare. Poi i veri e propri ricordi ce li andiamo a
cercare nel cervello in vari posti, dove possono associarsi a concetti e
facoltà che hanno a che fare con loro.
Come nel caso del neurone
di Jennifer Aniston, che non è proprio un neurone, ma un gruppo di
neuroni che, durante un esperimento si è scoperto che si attivavano
davanti a qualsiasi foto dell’attrice americana e che erano capaci di
reagire anche davanti a quelle di Lisa Kudrow, collega della Aniston
nella fiction Friends, a dimostrare che la memoria funziona per
associazioni.
Il neurone di Jennifer Aniston è solo un esempio. In
realtà pare che abbiamo neuroni che possiamo associare a qualsiasi
concetto abbiamo «scelto» di ricordare.
Il termine «scelto» però è
forse azzardato, perché non decidiamo in modo totalmente conscio che
cosa archiviare e che cosa no, anche se una selezione la operiamo. Il
nostro cervello «sa» quel che gli serve, che non è il conservare tutte
le informazioni acriticamente, bensì quelle utili a compiere astrazioni e
collegamenti. In caso contrario si cadrebbe nelle condizioni di altri
personaggi celebri nella storia degli studi sulla memoria, come Kim
Peek, che ispirò il film Rain Man, oppure Barry Morrow, dotati di
memoria prodigiosa ma incapaci di ragionamenti semplici o di cogliere un
doppio senso.
Ricordare tutto, infatti, non si associa alla
capacità di astrazione. «Se osserviamo uno stormo di uccelli, al
contrario di Funes non sappiamo contarli e ricordarne il numero
istantaneamente, perché, di norma, in realtà non è importante saperlo.
Quello che ci interessa capire è che siano uccelli e determinarne
approssimativamente il numero (più o meno di 10 o di 100) e astrarre il
concetto, tralasciando le informazioni non necessarie. Questa operazione
comincia con la percezione e si trasferisce nella memoria» scrive
Quiroga.
Funes, con la testa affollata, satura, di dettagli, non
poteva compire questo procedimento per noi semplice, sottolinea Quiroga.
Borges nel suo racconto su Funes ma non solo, ebbe la capacità di
capire sia l’importanza dell’astrazione sia dell’oblio.
«Pensare
significa dimenticare le differenze, significa generalizzare, astrarre —
dice Borges —, e nel mondo stipato di Funes non c’erano che dettagli,
quasi immediati».