domenica 9 settembre 2018

Corriere La Lettura 9.9.18
Licenza di estinguere? La genetica sfida l’etica
di Telmo Pievani


Gli abitanti di Floreana sono un collettivo autogestito in mezzo all’oceano. Da gennaio 2018 proteggono fieramente la biodiversità della loro isola insieme agli scienziati, perché hanno capito che le bellezze naturali possono contribuire allo sviluppo economico di una comunità. Adesso però devono affrontare un dilemma piuttosto crudo: come sterminare asini, capre e ratti per salvare iguane, fringuelli e testuggini?
Floreana, come il resto delle Galápagos, è un esperimento evolutivo a cielo aperto: un ecosistema equatoriale unico e isolato, disabitato fino al 1535 e poi invaso da decine di specie aliene portate da coloni e avventurieri. Charles Darwin la visitò nel settembre del 1835 e si accorse che già allora c’erano le bestie sbagliate nel posto sbagliato: «Nei boschi ci sono molti maiali e capre selvatici», annotò. E aggiunse: «Gli animali non temono l’uomo…».
Alle Galápagos gli animali continuano a non temere l’uomo, e sbagliano. Le specie invasive trasportate attraverso i viaggi e i commerci sono, dopo la deforestazione, la seconda più grave causa di distruzione della biodiversità terrestre. Mangiano le uova, distruggono gli habitat. Bisogna porvi rimedio, ma come? Su Floreana i conservazionisti hanno escogitato un solo modo: 400 tonnellate di veleno. Sono quelle previste dal Proyecto: lancio da elicotteri di esche ratticide su tutta l’isola per due mesi, evacuazione totale degli abitanti, gli animali d’allevamento confinati per sei mesi, costo 20 milioni di dollari. Un po’ drastico come rimedio.
Con le capre la caccia aveva funzionato: 200 mila quelle abbattute su tredici isole dell’arcipelago. Con i roditori invasivi è tutto più difficile. Nei progetti di eradicazione un successo al 99% è un fallimento al 100%: bastano pochi topolini sopravvissuti nascosti sotto un ripostiglio e la popolazione riparte in un batter d’occhio. E poi nessun veleno ratticida rimane confinato ai ratti, perché inquina le acque e il terreno.
Ma ecco in arrivo un’alternativa: pulita, silenziosa, per alcuni lievemente inquietante. Un’alternativa genetica per il dilemma di Floreana. Se si potessero modificare geneticamente i ratti rendendoli sterili, potremmo ottenere lo stesso risultato senza un grammo di veleno. Finora era fantascienza, tra qualche anno potrebbe essere realtà. Si chiama gene drive ed è un acceleratore molecolare che può alterare le percentuali di diffusione di un gene da una generazione all’altra, eludendo le leggi di Mendel. Ne esistono già in natura, ma ora gli scienziati stanno imparando a ingegnerizzarli per i propri scopi.
In pratica, si inserisce nel Dna delle cellule sessuali una sequenza «egoista» che al momento della fecondazione e della ricombinazione genetica si duplica, imponendosi anche sull’altro corredo cromosomico, venendo quindi trasmessa a tutta la discendenza. Se il gene egoista in questione compromette il cromosoma X o rende sterili le femmine, il risultato è ottenuto: dopo poche generazioni l’intera popolazione sarà costituita soltanto da maschi o da femmine sterili, e si estinguerà.
Per la prima volta nella storia, una specie sarà in grado di programmare intenzionalmente l’estinzione di un’altra. Gli abitanti di Floreana non sembrano temerlo. Posti dinanzi alla nuova ipotesi di intervento, molti l’hanno sposata convintamente, pur di evitare la pioggia di veleno. Qualsiasi sarà la decisione, andrà discussa democraticamente se vogliamo che Floreana diventi un caso virtuoso di alleanza tra biotecnologie e difesa dell’ambiente. Le difficoltà tecniche tuttavia non mancano. Riusciremo a tenere sotto controllo il rilascio in ambiente di animali geneticamente modificati?
Per accidente o per frode, qualcuno li potrebbe disperdere su altre isole o sul continente. Andranno ponderati gli effetti non intenzionali della loro presenza, effetti che comunque vi sono anche nel caso della lotta biologica classica, quando per esempio si introducono predatori per arginare una specie invasiva e poi questi a loro volta diventano invasivi. Non ultimo, questa tecnologia riduce la diversità genetica delle popolazioni e ha effetti ereditari permanenti, quindi va maneggiata con cura.
La rivista «Science» ha pubblicato i principi per una ricerca sul gene drive che sia responsabile e trasparente. Abbiamo ancora tempo per pensarci, visto che la tecnica non è ancora disponibile sui vertebrati. Per i ratti di Floreana al momento c’è solo il veleno. Sugli insetti, invece, una variante dell’applicazione potrebbe essere più vicina.
Anopheles gambiae e altre zanzare veicolano un parassita, il plasmodio, che trasmette la malaria. Ogni anno muoiono di questa malattia più di 400 mila persone in tutto il mondo, un flagello che colpisce anche tantissimi bambini. L’idea è ricorrere al gene drive per ridurre la fertilità femminile disattivando i geni coinvolti nella produzione e maturazione delle uova; oppure per ridurre le possibilità di accoppiamento distruggendo il cromosoma X, generando una progenie solo maschile, con conseguente collasso popolazionale; o ancora — soluzione meno drastica ma più difficile — per annullare le capacità di trasmissione del parassita disattivando i geni dei recettori e rendendo le zanzare immuni alla malaria.
Potremmo estendere la tecnica anche all’odiosa zanzara tigre e alle sue cugine che stanno portando anche in Italia pericolose febbri tropicali. Sembrerebbero ragioni morali più che sufficienti per tentare di eradicare i malefici insetti. Eppure anche in questo caso si pone un dilemma bioetico interessante. Qualche avvocato difensore delle zanzare la mette sul piano evoluzionistico: che diritto abbiamo noi, un mammifero comparso 200 mila anni fa in Africa, di programmare l’annientamento di insetti che si sono evoluti su questo pianeta 400 milioni di anni fa?
Altri si preoccupano per gli equilibri ecosistemici: le zanzare sono il cibo per pipistrelli, uccelli, libellule. Ma il rischio maggiore forse è un altro: le sequenze egoiste potrebbero diffondersi in modo incontrollato, o viceversa alcune zanzare potrebbero evolvere la resistenza al trattamento e diventare ancor più invasive. Inoltre, il problema della malaria è anche di tipo sociale ed economico, non solo biologico, il che è vero, ma intanto anche quest’anno conteremo centinaia di migliaia di vittime.
I favorevoli al gene drive ribattono che proprio per ragioni umanitarie sarebbe immorale non tentare, prendendo tutte le precauzioni dovute: ripetute simulazioni in ambienti controllati prima di qualsiasi rilascio; inserzione di geni che restino confinati in una popolazione specifica e non ne contaminino altre; creazione di gene drive alla rovescia che possano invertire il processo in caso di problemi. La paura che qualcosa vada storto rimane, ma l’imperativo morale di salvare così tante vite umane pesa sulla bilancia e tutto lascia pensare che il verdetto finale sarà di condanna per le zanzare. La Bill & Melinda Gates Foundation sta finanziando un enorme progetto, Target Malaria, che va in questa direzione.
Nel dubbio, chiederemo consiglio agli abitanti di Floreana, che nel frattempo avranno vissuto sulla loro pelle, e su quella del loro microcosmo insulare, i paradossi di una natura che cambia incessantemente, co-evolvendo con la specie più invasiva di tutte, Homo sapiens.