Corriere La Lettura 16.9.18
Parliamo con la Cina, sì Ma forse non siamo pronti
Xi
Jinping è il primo leader di Pechino autenticamente globale e
l’Occidente pare non rendersi conto appieno delle sfide che questo
significa. Anche l’Italia, che pure si è dotata di una «task force» per
le relazioni economiche, non sembra essere davvero attrezzata. E gli
Istituti Confucio disseminati nelle università condizionano direttamente
e indirettamente la nostra capacità di critica
di Maurizio Scarpari
Al
Festival della politica che si è svolto a Mestre dal 6 al 9 settembre
scorsi, di Cina non si è praticamente parlato. Eppure confrontarsi con
la politica estera cinese rappresenta una necessità inderogabile, visto
che l’intraprendenza del Paese asiatico sta modificando gli assetti
economici e geopolitici del pianeta. La Cina di Xi Jinping non è più
solo la «fabbrica del mondo», i suoi progetti rivelano ambizioni nuove,
perseguite con concretezza e determinazione. Temo che la
sottovalutazione del fenomeno faccia parte di un atteggiamento diffuso.
Due sono a mio avviso i periodi destinati a caratterizzare l’inizio del
nuovo millennio: il biennio 2012-2013 che ha decretato in Cina l’ascesa
di Xi Jinping, e il biennio 2016-2017 che ha visto l’ingresso alla Casa
Bianca di Donald Trump. Se il primo leader è arrivato ai vertici del
potere istituzionale nel segno della continuità, il secondo ha vinto le
elezioni come uomo di rottura. I due presidenti sono portatori di
visioni contrapposte, che mirano però allo stesso obiettivo: porre o
mantenere il proprio Paese al centro del mondo.
Nel novembre 2012,
appena nominato segretario del Partito comunista, Xi Jinping ha
decretato l’archiviazione del «periodo dell’umiliazione nazionale»,
affermando con orgoglio l’avvenuta «rinascita della nazione». Sul piano
culturale ha pienamente riabilitato gli ideali e i principi che hanno
plasmato nei secoli l’identità dei cinesi, rifiutando come inadeguati i
cosiddetti «valori occidentali». Sul piano politico ha rivendicato per
la Cina un ruolo centrale sullo scacchiere internazionale, in continuità
con la grandezza di quell’impero che era stato a lungo la parte più
evoluta e ricca del mondo, ben prima che le potenze occidentali
imponessero con la forza delle armi la loro egemonia. Il progetto di
trasformazione industriale Made in China 2025, e il program-ma di
espansione economica e commerciale Belt and Road Initiative, o Nuova Via
della Seta, sono destinati a realizzare le ambizioni di Xi e sono molto
di più di quello che la dirigenza cinese vorrebbe far credere: il primo
mira a far diventare la Cina la nazione tecnologicamente più avanzata
al mondo, il secondo a creare una rete infrastrutturale capillare che
colleghi la Cina non solo con i Paesi situati lungo le tradizionali
rotte commerciali euroasiatiche di terra e di mare, ma con il mondo
intero.
Xi Jinping è il primo presidente cinese con una visione
autenticamente globale, finalizzata alla «costruzione di un destino
comune per l’intera umanità», per realizzare la quale ha messo in campo
risorse finanziarie e umane immense. Attrae i suoi interlocutori per le
indubbie opportunità economiche offerte, e al tempo stesso li spaventa
per la difficoltà di prevedere le implicazioni politiche, finanziarie e
ideologiche.
Benché sia ancora notevole la distanza che separa la
Cina dagli Stati Uniti, la politica America First nasce anche come
risposta alle ambizioni egemoniche cinesi. Gli atteggiamenti di Trump
risentono di questa preoccupazione, il confronto con l’emergente potenza
del Paese asiatico è per lui una partita a due da giocare su più
tavoli. Pur di contrastare l’avanzata della Cina e rafforzare la
posizione degli Stati Uniti, Trump impone con arroganza le proprie
condizioni ai suoi interlocutori, fossero anche i governi dei Paesi
alleati, non esitando a ignorare ogni prassi diplomatica e a rompere
alleanze consolidate, rimettendo in discussione gran parte delle
convenzioni e degli accordi multilaterali, nonché il prestigio di
organismi internazionali in gran parte voluti dai suoi predecessori, sui
quali ha poggiato per decenni il dominio dell’Occidente. Le sue
strategie mirano a ottenere vantaggi immediati per incrementare la sua
base elettorale, ma nel lungo periodo recheranno danno a tutti, Stati
Uniti compresi, a detta dei 1.100 economisti, tra cui 14 premi Nobel,
che gli hanno chiesto di non ostinarsi a voler imporre i dazi.
In
questa situazione, la Russia cerca di mantenere un suo spazio autonomo e
di reagire per contrastare l’isolamento in cui la si vuole relegare,
rivendicando il ruolo di superpotenza; l’Unione Europea stenta a trovare
la collocazione politica che le spetterebbe, sempre più divisa com’è al
suo interno ed esposta a rischi d’implosione tutt’altro che
trascurabili; il Sudamerica sembra abbandonato al suo destino; il Medio
Oriente e buona parte dell’Africa continuano a essere terreno di
conquista sul quale si misurano diversi modelli di governance.
E
l’Italia? Nonostante i rapporti commerciali con la Cina siano in
crescita, l’Italia resta ai margini, basti pensare che la Svizzera
esporta nel Paese asiatico più del doppio di noi e la Germania cinque
volte di più. In cerca di un difficile equilibrio tra l’America di
Trump, che ha accolto il premier Giuseppe Conte con paternalistico
entusiasmo, e la Cina di Xi Jinping, visitata quasi contemporaneamente
da due missioni governative, la prima più istituzionale guidata dal
ministro dell’Economia, Giovanni Tria, la seconda con a capo il
sottosegretario Michele Geraci, l’Italia ha un ruolo marginale e la sua
capacità di attrarre investimenti stranieri rimane modesta.
La
creazione al dicastero dello Sviluppo economico (Mise) di una Task Force
Cina, voluta dal ministro Luigi Di Maio e guidata da Geraci, appare
come la condizione essenziale per impostare le relazioni economiche,
commerciali e culturali tra i due Paesi. Più che una task force, «unità
operativa», sarebbe stato però opportuno creare un think tank,
«serbatoio di pensiero», chiamando a raccolta i maggiori esperti e non,
com’è stato fatto, invitando chiunque a farsi avanti. Saranno centinaia
le persone che si sono proposte: qual è la loro preparazione e
competenza? Come verranno selezionate? Secondo un comunicato del Mise la
task force avrebbe già ottenuto importanti risultati in Cina, ancor
prima di diventare operativa, a riprova di «come l’approccio sistemico
porti a risultati concreti»!
È difficile capire quanto di concreto
e sostanziale ci sia dietro tali dichiarazioni. Destano perplessità le
tesi proposte da Geraci in alcuni suoi scritti: il governo viene
esortato a trarre ispirazione da una Cina descritta come una realtà
idealizzata, priva di contraddizioni, non tenendo conto delle profonde
diversità che rendono inapplicabili nel nostro Paese i modelli culturali
e di governance cinesi. Queste tesi hanno provocato la reazione di un
gruppo di giovani studiosi della società e della politica cinese
contemporanea operanti in 23 università, 18 delle quali estere, che
hanno criticato le posizioni del sottosegretario ritenendole pericolose
«perché prendono a modello un sistema autoritario, ma soprattutto per il
sistema di valori che sottendono».
Ciò che sembra mancare è una
riflessione a monte, approfondita e condivisa, che metta a fuoco il tipo
di sviluppo auspicabile per il nostro Paese e che valuti lo spazio da
riservare agli interlocutori cinesi, nella consapevolezza che essi sono
negoziatori abili ed esigenti, che non regalano niente a nessuno e che,
mossi da valori e obiettivi non sempre condivisibili, hanno grande
capacità di penetrazione e tendono a influenzare ideologicamente e
politicamente i propri partner. Prova ne sono gli Istituti Confucio
disseminati nelle università di mezzo mondo, presenti anche in Italia,
che condizionano, direttamente e indirettamente, le libertà di opinione e
di azione all’interno degli atenei ospitanti. Fa riflettere anche la
posizione della Grecia, aiutata da consistenti investimenti cinesi in un
momento di particolare debolezza economica, che nel giugno 2017 ha
posto il veto a una dichiarazione dell’Unione Europea all’Onu che
muoveva critiche alla Cina sul delicato tema del rispetto dei diritti
umani.