Corriere 9.9.18
Nuove diplomazie a Milano e quei ricordi del maggio 1939
di Sergio Romano
Milano
ospita frequentemente incontri e convegni internazionali dedicati alle
materie e alle questioni in cui ha un primato riconosciuto: la moda,
l’economia, la finanza l’educazione, la scienza. Più rari e occasionali,
invece, sono gli incontri politici e diplomatici come quello del 28
agosto fra Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria, e Matteo Salvini,
vice presidente del Consiglio italiano, nel palazzo della Prefettura in
corso Monforte. Mentre andavo alla ricerca di qualche precedente mi
sono imbattuto tuttavia in un altro incontro milanese. Ha avuto luogo il
6 e il 7 maggio del 1939 fra il ministro degli Esteri del Regno
d’Italia, Galeazzo Ciano, e il ministro degli Esteri del Terzo Reich,
Joachim von Ribbentrop. Dovevano discutere la possibilità di un accordo
tripartito (Germania, Giappone, Italia) e finirono per accordarsi su un
accordo bipartito (Italia e Germania) che verrà firmato a Berlino il 22
maggio e passerà alla storia come il Patto d’acciaio. I due Paesi non
avevano gli stessi interessi, e Mussolini ne dette una dimostrazione in
settembre, dopo l’invasione tedesca della Polonia, quando dichiarò la
non belligeranza e il Paese tirò un breve sospiro di sollievo. Ma i due
regimi avevano posizioni comuni. Condividevano una sorta di altezzoso
disprezzo per le grandi democrazie occidentali, credevano che allo Stato
spettasse il compito di intervenire pesantemente nella economia della
nazione, non perdevano occasione per proclamare il diritto del loro
Paese e a un più grande «spazio vitale» e praticavano entrambi (la
Germania dal 1933, l’Italia dal 1938) una politica razziale.
Conosciamo
il seguito. La non belligeranza durò sino al giugno del 1940, quando
Mussolini, abbagliato dalle vittorie di Hitler in Europa, temette di non
partecipare alla divisione delle spoglie e gettò il Paese in un
conflitto a cui era impreparato. Uno storico delle politica estera
italiana, Mario Toscano, concluse la sua analisi del Patto d’acciaio
scrivendo: «Si trattò di un patto fra due regimi, il quale, senza che i
suoi autori se ne rendessero allora conto, segnò l’inizio della fine di
entrambe le dittature».
Ogni confronto storico tra l’incontro
milanese del maggio 1939 e quello dell’agosto 2018 sarebbe improprio e
forzato. Ma esistono alcune inquietanti coincidenze. Orbán e Salvini
parlano della Europa di Bruxelles in termini non troppo diversi da
quelli che Mussolini e Hitler usavano per l’Europa delle democrazie.
Durante una conferenza stampa, alla fine dell’incontro di Milano,
Salvini dava l’impressione di auspicare un patto della Lega con
l’Ungheria di Orbán; e i due partiti che governano l’Italia hanno un
nemico comune (l’Europa), ma interessi diversi. Non mi spingo sino a
sospettare che abbiano simpatie fasciste o naziste, ma «sovranismo» è
soltanto la più recente definizione di nazionalismo: una forza politica
che nel 1923 divenne una costola del Partito nazionale fascista.