Corriere 9.9.18
Alby, la piccola Bagdad svedese dove anche la polizia ha paura
Viaggio in una «no go zone» di Stoccolma: qui la socialdemocrazia ha fallito
reportage di Francesco Battistini
ALBY
(Svezia) Era una bella Saab. «L’avevo comprata coi soldi che m’aveva
lasciato mio padre». Una sera gliel’hanno incendiata proprio sotto casa,
dietro il piazzale dell’Alby Centrum. «Ci sono stati degli scontri con
la polizia». Dalla finestra, l’impiegata di banca Tove Friedriksson ha
visto tutto: le proteste degli iracheni, le molotov, i lampeggianti blu,
le cariche casco&manganello, gli arresti. «Non sono uscita di
casa, perché ho avuto paura. Ma la mattina dopo, sì. Vado a fare la
denuncia dei danni. E siccome all’assicurazione servono i dettagli,
chiedo qualcosa degli arrestati». Niente nomi, dice la polizia. «E
quelli dei loro avvocati?». Niente. «Ma sono stati gli arabi o gli
africani?». È a quel punto che il poliziotto alza gli occhi: che razza
di domanda, «l’etnia non possiamo comunicarla». Vietato chiedere: «Ho
rischiato una denuncia per razzismo e xenofobia. Dichiarare che è stato
un immigrato a bruciare l’auto, è un’informazione impropria. Va contro
la legge».
Se domattina vi chiederete perché la Svezia alle urne
ha castigato dopo un secolo i socialdemocratici della tolleranza totale,
premiando la destra intollerante, Tove ha qualche risposta. Indovinate
oggi per chi vota lei. Ad Alby fa sorridere l’altissima media nazionale
d’accoglienza dei profughi, uno ogni cinque svedesi: in questo sobborgo
alla penultima fermata della linea rossa, venti chilometri a ovest e
migliaia d’anni luce dal centro di Stoccolma, gli svedesi-svedesi come
Tove sono uno su dieci. L’11 per cento. Mosche bianche. Sperdute fra
alveari marroni edificati negli anni delle guerre balcaniche, dei
massacri africani, delle fughe afghane, delle agonie mediorientali.
Diecimila abitanti, cinquemila appartamenti riservati ai rifugiati:
Alby, Norsborg, Hallunda ormai li chiamano Little Bagdad, Little
Mogadiscio, Little Sudan. La squadra di calcio del quartiere è il Konya,
come la città dei dervisci, e ha la stessa divisa biancoverde del
Konyaspor turco. Nella scuola elementare non si festeggia mai il Natale,
per non discriminare la stragrande maggioranza musulmana. Nei fast food
non si trova il bacon. E se negli anni 80 c’era un asilo no gender
fiorito dalla pedagogia egualitaria e socialdemocratica, di quelli che
proibiscono di fare distinzioni discriminatorie e politicamente
scorrette fra maschietti e femminucce, ora in piscina si nuota separati
per sesso e le mamme ci entrano velate. La disoccupazione è al 70 per
cento, contro la media nazionale del sei. Un tempo, qui si veniva a fare
il bagno sulle rive dell’Albysjon, a pedalare nei boschi, a vedere dove
aveva la villa il signor Ericsson, quello dei telefonini. Oggi, Alby è
stata dichiarata una delle otto «no go zone» vulnerabili del Paese, gang
e spaccio, dove la sera i pompieri non sempre vanno se li chiamano e
anche i poliziotti stanno all’occhio: «L’auto di servizio non dobbiamo
mai posteggiarla lontana — dice l’agente Roger Kampe, in servizio da
sette anni —, perché te la trovi danneggiata. E l’ordine è di girare
sempre in due o tre, mai da soli». In un garage, a marzo è stato
scoperto un deposito d’esplosivo, «roba da professionisti». Sugli
ascensori dei palazzoni, le scritte in arabo inneggiano a qualche guerra
santa. Un ragazzino di 16 anni è stato accoltellato in pieno giorno, un
mese fa, davanti al centro commerciale: «C’erano almeno trenta
testimoni, nessuno ha visto nulla».
Ad Alby, governano da sempre
le sinistre. Ma stavolta non si sa. I postfascisti di Svezia
Democratica, annunciati vincitori di queste elezioni politiche, qui non
mettono piede. Non si vede un manifesto di Jimmie Akesson, il Salvini
che vuole rispedire a casa i migranti e sull’esistenza di posti così sta
costruendo la sua fortuna politica. L’imam non ha voglia di parlare coi
giornalisti, da quando l’hanno messo in mezzo con una telecamera
nascosta (si vede un candidato locale della sinistra garantire tremila
voti sicuri a un alleato di lista, «alla preghiera l’imam convincerà i
musulmani a votare te, e tu in cambio gli costruirai la nuova
moschea...»: tutta acqua al mulino di Jimmie lo spaventastranieri).
Venerdì sera il sobborgo era mezzo deserto, tutti a guardare Jimmie
Akesson nell’ultimo confronto elettorale in tv. E sentirlo parlare di
posti come Alby. Parole pesanti: «Lo sapete perché quella gente non
trova lavoro? Perché non s’adattano alla Svezia. E non sono svedesi».
Urla, fischi, buuu. Nessuno ad Alby voterà mai Jimmie. «Ma qui siamo in
Medio Oriente», dice Tove. E fuori di qui c’è una Little Svezia che non
vuole diventare una grande Bagdad.