Corriere 8.9.18
Lucetta Scaraffia La scrittrice: «Le donne
per il Vaticano non esistono La pedofilia? La Chiesa non ha mai
affrontato la rivoluzione sessuale»
di Stefano Lorenzetto
Al
cancello della casa di vacanza, a Todi, è murata una piastrella che le
ha regalato il regista Pupi Avati: «Vocatus atque non vocatus Deus
aderit». Sono le parole dell’oracolo di Delfi — «Chiamato o non chiamato
Dio verrà» — che Carl Gustav Jung fece scolpire sull’architrave della
sua dimora di Küsnacht, leggibili anche sulla tomba dello psichiatra
svizzero.
Nella vita di Lucetta Scaraffia, storica e scrittrice,
Dio venne una domenica di marzo. «Vidi una folla radunata davanti a
Santa Maria in Trastevere per il ritorno di un’icona della Madonna.
Entrai. All’udire l’Akathistos bizantino, l’antico inno dedicato alla
Madre dell’Altissimo, fui invasa dalla luce. Capii che Lui c’era».
Benché non credente dal 1965 al 1985, non si può dire che quello sia
stato il primo incontro con Dio: a 12 anni Scaraffia recitava dieci
avemarie al giorno per non diventare suora e pregava Gesù per la
conversione della zia Angela, una comunista che era stata l’amante di
Gaetano Salvemini.
Ex atea, ex marxista, ex sessantottina, oggi è
l’editorialista di punta dell’Osservatore Romano e ne dirige il mensile
Donne Chiesa Mondo. Si sussurra che papa Francesco presti molta
attenzione alle opinioni della studiosa, spesso riprese da New York
Times, Monde, Figaro, Libération. Elizabeth Barber, inviata del New
Yorker, ha trascorso una settimana a casa sua per dedicarle un ritratto.
«La Croix» l’ha definita «la “féministe” du Vatican». Si riconosce?
«Non mi risulta che ce ne siano altre».
È ancora femminista?
«Certo, specie frequentando la Chiesa».
Luci e ombre del femminismo?
«Ha fatto sentire forti le donne. Ha sottovalutato la maternità».
Chi l’ha introdotta in Vaticano?
«Il
direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Ci conosciamo
da quasi trent’anni. Eravamo fra i pochi docenti cattolici dell’allora
facoltà di Lettere della Sapienza».
Vian la assunse di testa sua?
«Seguì un’indicazione datagli da Benedetto XVI nel 2007, all’atto di nominarlo: “Vorrei più firme femminili”».
Chi vigila sull’ortodossia del mensile «Donne Chiesa Mondo»?
«Eeeh!».
(Sospiro). «Tutti e nessuno. In Vaticano ci sono persino alcuni che
fingono di non leggerlo. Non figuro nell’Annuario pontificio. Il mio
confessore, un gesuita, mi ha rincuorato: “Meglio così. Se fosse una
carica istituzionale, brigherebbero per fregartela”».
La pagano, almeno?
«Solo per gli articoli che scrivo».
Ma le donne come sono viste al di là delle Mura leonine?
«Non sono viste. Non esistono».
Con le suore ridotte a colf per i preti?
«Già.
Devono persino difendere le loro case generalizie dai vescovi, che
vorrebbero portargliele via. Spesso si fanno aiutare dalle consorelle al
servizio di alti prelati. La Chiesa funziona per protettorati. Vale
anche per i sacerdoti».
È favorevole al sacerdozio femminile?
«No.
L’uguaglianza si rivela nella differenza. E l’unica istituzione che può
testimoniarlo è la Chiesa, perché siamo tutti figli di Dio e per questo
tutti uguali».
Si sente una Giovanna d’Arco, come la dipinse «Il Foglio»?
«Preferisco Caterina da Siena. A Roma prego sulla sua tomba, in Santa Maria della Minerva. Aiutami tu, la supplico».
Ha avuto occasione di confrontarsi con papa Bergoglio, qualche volta?
«Non mi pare corretto parlarne».
Mi sa che le tocca farlo, invece.
«Gli
avevo mandato l’edizione spagnola del saggio Dall’ultimo banco, che ho
scritto per Marsilio. Un giorno sono a un convegno della Congregazione
per la dottrina della fede. Squilla il cellulare. Mi ordinano di
spegnerlo, ma io rispondo lo stesso. “Sono papa Francesco. Volevo
ringraziarla per il libro. Mi è piaciuto molto”. Balbetto: Santità, sono
troppo emozionata... “Stia tranquilla. Dov’è in questo momento?”. Gli
spiego dove mi trovo. E lui: “Porti a tutti i miei auguri di buon lavoro
e dica loro di comprare e leggere il suo libro”».
Ma davvero al sinodo sulla famiglia l’hanno confinata nell’ultimo banco?
«Altroché.
L’ultimo di una trentina di file. Accanto a me, alcuni coniugi invitati
dal Vaticano. Poveri, con 12 figli, felici. Ma quando mai? Nella vita
reale non è così! Alzano gli occhi al cielo... Buoni e finti. Coppie
ammaestrate, con il marito a comandare. Non le sopporto».
Perché
l’«Amoris laetitia» di papa Francesco scaturita da due sinodi sulla
famiglia ha suscitato i dubbi di quattro cardinali e 45 studiosi
cattolici?
«Perché applica la misericordia alla realtà. Brandire
la morale come una legge inflessibile significa non tenere conto di
quanta sofferenza c’è dietro i divorzi e le separazioni. Al sinodo tutti
parlavano esclusivamente di padri, madri e figli. Non sanno che milioni
di donne sono costrette ad allevarsi da sole la prole».
Nell’esortazione
apostolica Francesco denuncia il «rifiuto ideologico delle differenze
tra i sessi». Lei che cosa pensa delle teorie gender?
«Penso che
sia arrivato il tempo profetizzato da Gilbert Keith Chesterton: “Spade
saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. La
Chiesa è costretta a difendere verità lapalissiane».
Amore coniugale e amore omosessuale a suo avviso sono equiparabili?
«No. Il secondo non prevede la procreazione, se non trafficando con uteri e gameti, e spezza la catena fra generazioni».
Ma la Chiesa non avrà un problema irrisolto con la corporeità?
«Io
la vedo soffocata dalla teologia, che le impedisce di conoscere la
vita. Come può parlare del corpo se ignora l’altra metà del genere
umano?».
Nel clero allignano molti pedofili?
«Purtroppo. La
Chiesa non ha mai affrontato la rivoluzione sessuale infiltratasi al suo
interno. Tanti preti si sono convinti che la castità sia una
repressione apportatrice di nevrosi, per guarire le quali tutto è
ammesso».
Contro questa deriva, Francesco propone preghiera e digiuno. Non è poco?
«Legga bene la sua “Lettera al popolo di Dio”. Invoca anche “tolleranza zero” contro chi compie o copre questi delitti».
Lei ha scritto che le denunce dei mass media aiutano a far luce sugli abusi.
«Siamo arrivati a questo punto. Mi spiace moltissimo dirlo, ma per vie interne non si riesce a stroncare il fenomeno».
Le gerarchie coprono gli scandali.
«Ma anche i laici, intimiditi, spesso tacciono anziché rivolgersi alla polizia».
L’arcivescovo
Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico a Washington, ha invitato
Francesco a dimettersi per aver coperto dal 2013 gli abusi sessuali su
seminaristi compiuti dal cardinale Theodore McCarrick, che a luglio il
Papa ha privato della porpora.
«Provo un dolore profondo di fronte
a simili vicende e mi chiedo perché monsignor Viganò si sia rivolto
alla stampa soltanto dopo cinque anni».
Non ha la sensazione che il numero dei sacerdoti omosessuali sia elevato?
«Nettissima. Troppi diventano preti per paura di confrontarsi con le donne».
Ai gay che diritti riconosce?
«Accetto le unioni civili, ma non i matrimoni, le maternità surrogate e le adozioni».
Mi risulta che un cardinale volesse stilare un documento vaticano sui vestiti discinti delle ragazze di oggi.
«È vero. Parliamo di un fine giurista. Pensava che l’abito dovesse connotare la donna cattolica».
Anche lei vede in giro troppe nudità?
«Più che altro siamo stati anestetizzati dalla pornografia soft della pubblicità».
A 50 anni di distanza ha ancora un senso l’«Humanae vitae» di Paolo VI?
«Eccome.
La pillola rovina la salute. Tant’è che oggi le ragazze usano più
volentieri i metodi naturali, senza sapere che obbediscono a
un’enciclica papale».
Vi ricorrono anche prima di sposarsi.
«Le
coppie arrivano ai corsi prematrimoniali già con figli, c’è poco da
fare. La Chiesa non riesce a convincere i giovani delle sue buone
ragioni. Infatti la migliore l’ho letta in un libro di Erri De Luca».
E quale sarebbe?
«La fedeltà coniugale richiede allenamento. Un po’ sportiva però efficace».
Il ministro Lorenzo Fontana vuole ridiscutere la legge 194. Ha torto?
«Penso
che dopo 40 anni una revisione occorra. Ma l’equazione peccato uguale
reato è antistorica. L’aborto entrò nei codici penali con Napoleone. E
non per ragioni morali: per la coscrizione obbligatoria. Alla Francia
servivano soldati».
In Italia si arriverà all’eutanasia?
«Temo
di sì. È la conseguenza dell’accanimento terapeutico dettato dalla
medicina difensiva per evitare le denunce presentate dai parenti dei
malati».
E la Chiesa a quel punto si adeguerà?
«Mai! Però
l’alimentazione artificiale è sbagliata, perché può prolungare vite
senza speranza. Al contrario l’idratazione va garantita per evitare la
sofferenza».
Come mai sull’«Osservatore» criticò i trapianti di organo a cuore battente?
«Non
accetto i criteri di morte cerebrale introdotti mezzo secolo fa
dall’Harvard Medical School, una convenzione medica bisognosa di
verifica, che ha a che fare con i soldi. Esiste un mercato clandestino
degli organi, lo sanno tutti. È giusta una pratica che lo incentiva?».
Lei accetterebbe di morire piuttosto che subire un trapianto?
«Sì. Ma per vigliaccheria: la vita dei trapiantati, imbottiti di farmaci immunosoppressori antirigetto, è un inferno».
E se l’organo servisse a un suo caro?
(Lungo silenzio). «Non so rispondere».