lunedì 3 settembre 2018

Corriere 3.9.18
Due film dedicati all’ex presidente dell’Uruguay
Pepe Mujica star al Lido: sono qui per Kusturica
di Stefania Ulivi


Venezia Non se l’aspettava neanche lui di trovarsi a 83 anni al Lido protagonista di due film, uno di finzione, La noche de 12 años, di Álvaro Brechner in Orizzonti e un documentario, El Pepe, una vida suprema, dell’amico Emir Kusturica, fuori concorso. Ma nulla nella vita di José Alberto Mujica Cordano, El Pepe, ha seguito percorsi ordinari. Infanzia povera dopo la morte del padre, il ciclismo, quindi la politica, sulle orme della madre, di origini liguri. Prima con i nazionalisti, poi sempre più a sinistra, fino a diventare uno dei leader del Movimiento de Libéracion Nacional, i Tupamaros. E, dopo il colpo di Stato del 1973, dodici anni di carcere duro, in isolamento. Quindi senatore, nel 1999, e infine presidente del suo Uruguay, dal 2010 al 2015. È arrivato a Venezia dopo un tour per l’Italia — Ravenna, Mantova, Milano — per presentare il suo libro Una pecora nera al potere, ha incontrato quasi tutti, da Grillo a Martina, ognuno ha cercato di affiliarselo anche se ormai con la politica praticata ha chiuso.
La proiezione di La noche de 12 años (uscirà da noi con Movies Inspired) che racconta gli anni della sua prigionia e di due suoi compagni, è stata accolta da 25 minuti di applausi, cori di «El pueblo unido».
Che effetto le fa?
«Me l’hanno detto. Il film racconta cose che mi risvegliano emozioni contraddittorie legate a mia madre, i miei compagni, quelli che non ci sono più. All’inizio avevo detto di no al regista, come una corazza che ci si mette per difendersi».
L’ordine dei vostri carcerieri fu «visto che non possiamo ucciderli facciamoli diventare pazzi». Come siete sopravvissuti?
«L’isolamento è il castigo peggiore dopo la pena di morte. Quando siamo usciti ci hanno visitato psicologi, forse un po’ pazzi lo siamo diventati. Non so come abbiamo fatto... Mi distraevo anche con i topi che arrivavano sempre alla stessa ora, di notte».
Nessun sentimento di vendetta?
«Ho cercato di non diventare prigioniero dell’odio».
Qui c’è anche il documentario di Kusturica, lo presentate insieme.
«È un mio amico. Mi ha detto: se non vieni anche tu alla conferenza stampa a Venezia non vado. Eccomi qui».
Il cinema insegna?
«Si impara più da ciò che si vive che non da ciò che ci raccontano».
In questi giorni ha consigliato a noi europei di non distruggere l’Unione.
«Vorrei un organismo simile per l’America Latina. Per quanti limiti possa avere, vi ha assicurato il più lungo periodo di pace della storia. Tenetevela stretta. Oggi in tanti si dicono populisti. È un termine che non amo, non vuole dire nulla. E mi spaventano i nazionalismi. L’Italia che ha seminato emigranti nel mondo, ora ha paura degli immigrati. Per fortuna i governi passano, restano i popoli».
Si è dimesso dal Parlamento. Qual è la sua eredità politica?
«Quando ero giovane pensavo che la lotta fosse per il potere. Ora vedo che la storia delle lotte sociali e politiche è un mucchio di vetri rotti, di cui restano cose fondamentali: i diritti del lavoro e quelli sociali. Mi sento fratelli quelli che hanno contribuito a costruire anche un solo scalino della grande scala verso la civiltà».