Corriere 29.9.18
Il dito sulle labbra e altri segni
Piccolo vocabolario esoterico
di Francesca Bonazzoli
Numerosi i simboli dell’occulto nell’arte. Dal Medio Evo a Duchamp
Nelle
loro botteghe, a contatto con pietre esotiche da macinare per trarne
polvere colorata come il prezioso blu di lapislazzuli, oppure chini sui
vapori velenosi delle «acque forti» per trasformare i graffi su una
lastra di rame in immagini, gli artisti hanno sempre frequentato la
mitologia dell’oscuro dove le fantasie prendevano forme simboliche ed
esoteriche. Chi le creava, le sapeva interpretare o le collezionava,
possedeva i più importanti strumenti di conoscenza all’interno del
sistema del sapere. Gli artisti erano dunque fra gli iniziati e ai
migliori di loro, filosofi, teologi e scienziati affidavano formule e
schemi da riportare in mappe, disegni, grandi cicli di affreschi come
nel Palazzo della Ragione, a Padova, o nel Salone dei Mesi del ferrarese
Palazzo Schifanoia.
Anche dopo il Medio Evo, con l’Umanesimo, la
creazione artistica continuò a produrre una grande quantità di immagini
di matrice ermetica, alchemica e cabalistica. Basti pensare a
Botticelli, Piero di Cosimo, Leonardo, Dürer, Michelangelo, Parmigianino
e Beccafumi, in un elenco che arriva al Manierismo, stile per
eccellenza degli enigmi. Nei secoli successivi il fascino
dell’iconografia esoterica riemerge continuamente nelle vanitas
fiamminghe; nei sabba di Callot, Magnasco o Goya; nelle opere visionarie
di pittori come Füssli e Blake; in correnti artistiche come il
Surrealismo, il Simbolismo o l’Astrattismo. Si può dunque affermare che
il sapere esoterico si sia tramandato proprio grazie all’arte e pochi
artisti hanno saputo sfuggire all’orgogliosa consapevolezza di far parte
di una casta custode di un antico repertorio iconografico.
Nemmeno
il dissacratore dadaista Marcel Duchamp, autore, nel 1915, di una delle
opere più misteriose del Novecento, il «Grande vetro (La sposa messa a
nudo dai suoi scapoli, anche)» di cui in mostra è esposta la versione ad
acquaforte. La sua interpretazione è un rebus che porta a pensare si
tratti di un’illustrazione delle «Nozze chimiche», motivo allegorico che
esprime l’unione armonica dei principi all’origine dell’equilibrio del
cosmo, ossia la riconciliazione tra la parte maschile e femminile della
nostra psiche.
Un’altra delle immagini più antiche è quella del
dito sulle labbra, il «signum arpocraticum», dal nome di Horus, o
Arpocrate, il piccolo figlio di Iside: è contemporaneamente gesto del
silenzio e dell’ascolto che allude all’Altro per ottenere, come lo
spiegò Dumézil, «la concentrazione di un’efficacia magica che la parola
pronunciata non possiede». Ma ogni risveglio esoterico ha trovato le sue
iconografie più congeniali: fra quelle amate dal Simbolismo c’è
senz’altro l’erotismo illustrato da una galleria di donne fatali, da
Giuditta, Salomé, a Meduse, Sfingi, Sirene, Chimere: tutti esseri che
trasmettono il mal d’amore, o morte magica, paragonabile all’estasi
mistica e al raptus che discende dal contatto con la divinità,
pericoloso fino alla morte.
Il paesaggio, invece, è un tema
limitato soprattutto alla foresta misteriosa;al contrario, fra gli
animali si trova una grande ricchezza che spazia dal caprone che
presiede ai rituali sabbatici come simbolo del diavolo associato alla
lussuria, alla civetta, simbolo della Sapienza, personificazione della
Notte e attributo del Regno del Sonno, fratello di Tanato, la Morte.
Altra immagine molto frequentata è la scala per indicare la conquista
dell’elevazione filosofica, mistica ed esoterica, anello di congiunzione
fra la vita quotidiana e la Grande Opera.
Allo stesso modo la
comparsa di monti, rocce e città turrite, luoghi iniziatici cui solo il
sapiente ha accesso, allude all’ascesi spirituale verso i mondi
superiori del cosmo e al viaggio iniziatico per conquistare la sapienza e
purificare la materia dell’essere umano con lo scopo di far emergere la
sua parte divina. Anche le lampade, richiamo al fuoco alchemico insieme
generatore e distruttore, sono l’agente che accelera il processo verso
la perfezione.
I simboli sono dunque numerosi e diversi, ma il
filo rosso che unisce la mano di tutti gli artisti-alchimisti è l’idea
che lo spirito prevale sulla materia, l’invisibile sul visibile. Un
percorso dello «spirituale nell’arte» attraverso cui Kandinsky giunse a
inventare un’ulteriore nuova forma artistica: quella dell’astrazione.