mercoledì 26 settembre 2018

Corriere 26.3.18
l’intervista Dopo il viaggio nei paesi baltici
«Accogliere per integrare Però non sia una minaccia contro la propria identità»
Il Papa: con la Cina un compromesso, ma le nomine le fa Roma
 

DAL VOLO PAPALE Il volo BT7103 ha lasciato da poco Tallinn quando Francesco raggiunge i giornalisti sull’aereo. Racconta di ciò che lo ha colpito del viaggio nei Paesi baltici. A cominciare dai segni dei totalitarismi a Vilnius: il ghetto ebraico annientato dai nazisti, la prigione del Kgb. «Quel giorno sono rimasto distrutto. La crudeltà non è finita. La stessa si trova oggi in tante carceri: anche la sovrappopolazione è una tortura, o una prigione che non dà speranza. Abbiamo visto i terroristi Isis, il pilota giordano bruciato vivo, i copti sgozzati sulla spiaggia, tanti altri. In tutto il mondo si compie, è un grave scandalo della nostra cultura e società».
Santità, alcuni cattolici cinesi, come il cardinale Zen, la accusano di avere svenuto la Chiesa al governo comunista di Pechino dopo anni di sofferenza. Che risponde?
«È un processo che va avanti da anni, un dialogo fra le commissioni vaticana e cinese per sistemare la nomina dei vescovi. La delegazione vaticana ha lavorato tanto. Vorrei fare alcuni nomi: monsignor Claudio Maria Celli, padre Rota Graziosi, e il segretario di Stato Parolin che è molto devoto ma ha una speciale devozione alla lente: tutti i documenti li studia — punti, virgole, accenti — e questo mi dà una sicurezza molto grande. Quando si fa un accordo di pace, ambedue le parti perdono qualcosa. Questa è la legge. Due passi avanti, uno indietro, mesi senza parlarci… È il tempo di Dio, che somiglia al tempo cinese: lentamente, è la saggezza dei cinesi. Sui vescovi sono io il responsabile che ha firmato. Penso alla resistenza offerta dai cattolici. È vero, soffriranno. In un accordo c’è sempre sofferenza. Ma hanno una grande fede “martirale”. Sono dei grandi. Mi fanno arrivare messaggi: ciò che Pietro dice è ciò che dice Gesù. L’accordo l’ho firmato io, le lettere plenipotenziarie: io sono il responsabile. Gli altri hanno lavorato più di dieci anni. Non è una improvvisazione. Quando c’è stato il comunicato di quel famoso ex nunzio (Viganò che chiedeva le dimissioni del Papa, ndr), gli episcopati del mondo mi hanno scritto che pregavano per me. Anche i fedeli cinesi: e c’erano le firme del vescovo diciamo così “tradizionale cattolico” e di quello della “chiesa patriottica”. Per me è stato un segnale di Dio. Non dimentichiamo che in America Latina — grazie a Dio è superato — erano i re di Portogallo e Spagna a nominare i vescovi. Ma questo è un dialogo sugli eventuali candidati. La cosa si fa in dialogo, ma nomina Roma, nomina il Papa. Questo è chiaro. E preghiamo per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità».
Ha parlato di apertura ai migranti…
«Il messaggio sull’apertura è abbastanza avanti, nei popoli baltici. Non ci sono fuochi forti populisti. Bisogna accogliere ma non massicciamente, perché non si può. Integrarli con la prudenza del governo. Nei discorso dei presidenti la parola apertura è frequente. Questo indica una voglia di universalità, nella misura in cui si possa integrare, e che non sia una minaccia contro la propria identità. Apertura prudente e ben pensata. Oggi il problema dei migranti è grave in tutto il mondo e non è facile studiarlo. In ogni Paese ha diverse connotazioni».
Ha detto che i giovani si indignano perché non vedono una condanna netta della Chiesa sugli abusi.
«Tutti conosciamo le statistiche. Ma se anche ci fosse stato un solo prete ad abusare di un bambino o una bambina, è mostruoso. I giovani si scandalizzano, lo capisco. Sanno che la corruzione c’è dappertutto ma nella Chiesa è più scandaloso perché un prete deve portare i bambini a Dio e non distruggerli».
La Chiesa non ha fatto ciò che doveva, ha coperto?
«Un esempio, la Pennsylvania: nel primi settant’anni c’erano tanti preti caduti nella corruzione, in tempi più recenti è diminuita perché la Chiesa si è accorta che doveva lottare in un altro modo. In tempi antichi queste cose si coprivano, anche a casa: lo zio che violenta la nipotina, il padre il figlio… Era il modo di pensare del secolo scorso. Un fatto storico va interpretato con l’ermeneutica dell’epoca, non di oggi. Anche lo Stato pontificio aveva la pena di morte, poi la coscienza morale cresce… In Pennsylvania, quando la Chiesa ne ha preso coscienza, ce l’ha messa tutta. Dalla Dottrina della fede ho ricevuto tante condanne, mai ho firmato una richiesta di grazia. Non si negozia».
Ha parlato di «minacce di armi». Cosa pensa delle tensioni sul confine est (con la Russia, ndr)?
«Oggi le spese mondiali in armi sono scandalose, in un mondo affamato. È lecito e ragionevole avere un esercito per difendere le frontiere, come avere la chiave alla porta di casa, è un onore difendere la patria così. Il problema è quando un Paese diventa aggressivo».