Corriere 26.9.18
La castrazione con i farmaci e i dubbi dei medici «Può non bastare»
di Cristina Marrone
Si riapre il dibattito sul trattamento chimico
Come
spesso accade dopo una violenza sessuale si torna a chiedere a gran
voce la castrazione chimica. Non l’ha invocata solo Matteo Salvini: ieri
nel corso della trasmissione «Prima Pagina» su Radio 3 sono arrivati in
redazione molti messaggi di donne favorevoli a questo tipo di pena per i
reati a sfondo sessuale. Ma cos’è davvero la castrazione chimica? Si
tratta di una terapia antagonista del testosterone, l’ormone maschile.
Di fatto, tramite la somministrazione di farmaci a base di ormoni
(capsule, fiale, iniezioni sottocutanee) viene inibita la produzione e
il rilascio in circolo degli ormoni che stimolano i testicoli alla
produzione di testosterone. I due principi attivi più utilizzati sono il
ciproterone acetato e il medrossiprogesterone acetato (meno costoso,
diffuso soprattutto negli Stati Uniti), ma ce ne sono altri come il
bicalutamide o gli analoghi LHRH. Ma che cosa sappiamo sull’utilità di
questa pratica? E quali sono i risvolti etici? Gli studi (americani) si
contano sulla punta delle dita.
«Questi farmaci sono nati per
combattere il carcinoma alla prostata ma oggi sono utilizzati anche per
abbattere il desiderio sessuale dei sex offender, là dove il carcere non
basta» spiega Vincenzo Mirone, già presidente della Società italiana di
urologia e professore di Urologia alla Federico II di Napoli. «Sfatiamo
però un mito — aggiunge il professor Andrea Salonia, urologo e
andrologo, esperto di medicina sessuale all’ospedale San Raffaele di
Milano — e cioè che i violentatori e i pedofili abbiano un livello di
testosterone più alto dei soggetti che hanno una normale sessualità. Non
è così: non è dal livello di ormone maschile che si può capire se un
uomo diventerà un sex offender». Dubbi ci sono anche sulla reversibilità
della terapia. Come spiega il professor Mirone due-tre mesi dopo la
sospensione del farmaco il testosterone dovrebbe tornare a livelli
normali. «Ma è possibile che il desiderio sessuale non sia più quello di
prima, come tra l’altro può succedere a chi segue una terapia ormonale
contro il tumore» chiarisce il professor Salonia. Inoltre una volta
terminati gli effetti della castrazione chimica nessuno garantisce la
non recidività del soggetto. Vero è che testosterone e sessualità vanno a
braccetto, ma ci sono persone che, pur avendo l’ormone maschile
abbattuto, hanno ancora il desiderio di sessualità. «Abbiamo pazienti —
aggiunge ancora Salonia — con 0,01 di testosterone perché hanno avuto
problemi di tutt’altro genere che hanno ancora un’attività sessuale
proprio perché la sessualità non è solo una questione di ormoni, ma è
legata anche alla sfera biologica e psicologica». Non sempre la
riduzione del livello di testosterone è sufficiente a inibire il
comportamento patologico deviante. Gli psichiatri sottolineano che la
violenza sessuale non è quasi mai la soddisfazione di un impellente
bisogno fisiologico, ma spesso trae soddisfazione dall’esercizio del
potere, della forza, dell’umiliazione e del controllo della vittima.
La
castrazione chimica non è esente da effetti collaterali. Oltre
all’impossibilità di procreare, l’alterazione dell’equilibrio ormonale
provoca cambiamenti fisici e psicologici. Aumentano l’adipe sui fianchi,
le cosce e le mammelle mentre diminuiscono i peli sul corpo. Proprio a
causa dell’aumento del grasso corporeo cresce il rischio di malattie
cardiovascolari e diabete. Tra gli effetti anche l’insorgenza di
osteoporosi.
La castrazione chimica è prevista nell’ordinamento
giuridico di alcuni Stati degli Usa e in diversi Paesi europei. La netta
maggioranza dei Paesi come Svezia, Finlandia, Germania, Danimarca,
Norvegia, Belgio e Francia ne fa un uso estremamente limitato e
subordinato al consenso del condannato, che deve essere informato degli
effetti collaterali. Sperimentazioni sono in corso in Portogallo e nel
Regno Unito. In Russia e in Polonia la castrazione chimica è
obbligatoria per i colpevoli di stupro su minorenni.