Corriere 23.9.18
«Un dubbio sulle date, così ho trovato la lettera di Galileo»
L’italiano che ha scoperto il manoscritto a Londra. «Il complimento più bello? Dalla mia compagna»
di Donatella Tiraboschi
Professore, cosa faceva alla biblioteca della Royal Society di Londra il 2 agosto?
«Quello
che faccio sempre fin dai tempi del dottorato in Antropologia ed
Epistemologia che ho conseguito all’Università di Bergamo nel 2011, e
cioè ricerche. È una enorme miniera di scienza, manoscritti e lettere».
Salvatore Ricciardo ha trovato qui la pepita d’oro della sua vita,
l’originale lettera eretica di Galileo: il professore ha 40 anni, una
laurea in filosofia all’Università di Milano ed è assegnista di ricerca
per l’ateneo di Bergamo.
Emozionato?
«È il mio mestiere. Mi
sono specializzato in Storia della Scienza nell’Inghilterra del 1600 e
mi sono trovato tra le mani parecchi scritti autografi di secoli fa, in
particolare di Robert Boyle, il chimico scettico, figura interessante,
tanto che ci ho scritto un libro. Più che emozione, direi che mi è presa
una certa eccitazione».
Ma come è arrivato a Galileo? Racconti la scoperta.
«Nell’ambito
di un progetto nazionale di ricerca, la mia università ha in carico un
segmento di approfondimento sulla diffusione delle sue teorie proprio
nell’Inghilterra del ‘600. Quella mattina ho preso il mio pc e sono
andato in biblioteca. Mi sono seduto in una delle 10 postazioni e ho
digitato il nome di Benedetto Castelli, un monaco, fisico e matematico
bresciano, il suo collaboratore numero uno. Si è aperto l’archivio on
line con una “stringa”; una lettera datata 1613. Che strano mi sono
detto. La Royal Society sarebbe stata fondata solo 47 anni dopo. Che ci
fa qui una lettera di decine di anni prima? Anche la data di stesura era
stata interpretata 21 ottobre, ma in realtà è stata scritta il 21
dicembre di quell’anno».
L’hanno riesumata per lei dagli archivi.
«Diamogli
un’occhiata, ho pensato, magari è una delle copie già in circolazione,
una di quelle 12 missive in versione edulcorata. Quando però mi hanno
messo in mano quei sette fogli, ho avuto subito il sospetto che non si
trattasse di una di quelle copie».
La scoperta era sotto i suoi occhi.
«Sì,
ma io non me ne sono reso conto subito. Ho scattato foto e fatto
scansioni. Poi ho chiamato il professor Franco Giudice a Bergamo. Guardi
ho trovato questa lettera, magari è di Galileo, ma non ne sono sicuro».
Lei è uomo di scienza, servono prove certe.
«Prima
della fine di agosto è arrivata la conferma. Ci siamo resi conto dalle
perizie grafologiche e dalle varianti d’autore dell’autenticità del
manoscritto».
Il senso del ritrovamento?
«Ci porta a
rivedere l’interpretazione delle vicende che portarono alla messa
all’indice del libro di Copernico e all’ammonizione di Galileo da parte
del cardinale Bellarmino. Per secoli si pensò che Lorini avesse
inoltrato al Sant’Uffizio una copia spuria della lettera inviata da
Galileo a Castelli. In realtà l’autografo, al netto delle interpolazioni
e cancellazioni, rivela che il testo della lettera inviata da Lorini
ricalca l’originale stesura di Galileo».
Il più bel complimento?
«Quello della mia compagna. Sono un tipo insicuro, ma lei mi sprona: “fai sempre di testa tua che hai sempre fatto bene”».