Corriere 22.8.18
Pamphlet La stagione dei populisti
Ne «La scopa di don Abbondio», edito da Laterza, il filologo riflette sui moti imprevedibili della storia
Luciano Canfora analizza l’avanzata delle forze anti establishment oggi e nel primo ’900
di Antonio Carioti
Non
si fa illusioni sugli istinti della nostra specie. A tutti coloro che,
compreso lui stesso, perseguono ideali egualitari, Luciano Canfora
indica ostacoli quasi insormontabili che si ergono sulla loro strada:
tradizioni antiche, pregiudizi stratificati, ma soprattutto «quel ferino
egoismo che costituisce il nerbo della psiche umana». D’altronde se,
come scriveva nel Leviatano il filosofo inglese Thomas Hobbes, «la vita
dell’uomo è solitaria, povera, sudicia, bestiale e breve» (anche se oggi
un po’ meno che nel XVII secolo), è comprensibile che sia molto forte
la pulsione di ciascuno ad affermarsi e a procurarsi beni di vario
genere a detrimento degli altri.
C’è da perdersi d’animo, da
concludere che forse con quel fenomeno atavico bisogna scendere a patti,
accettando gli uomini così come sono e cercando di regolarne
l’irriducibile individualismo, piuttosto che proporsi di debellarlo. Ma
Canfora ricorda anche che il futuro è sempre aperto, che le esigenze di
giustizia da cui sono scaturite le diverse rivoluzioni rimangono vive,
che nessuna restaurazione riuscirà mai a riportare veramente una società
al punto di partenza. E soprattutto che le oscillazioni imprevedibili
della storia possono travolgere anche gli assetti apparentemente più
solidi.
A questo si riferisce il titolo del suo breve e polemico
libro La scopa di don Abbondio (Laterza). Una scopa che nei Promessi
sposi di Alessandro Manzoni era la peste, evento cataclismatico per
eccellenza. Anche senza chiamare in causa agenti biologici come le
epidemie che facevano strage di umili e potenti nei secoli passati, la
storia è tuttora capace di riservare sorprese sgradite perfino ai ceti
dominanti più sicuri di sé.
Quanto al presente tuttavia l’analisi
del filologo classico, firma di spicco del «Corriere», è alquanto cupa.
Canfora dà ormai per spacciata la democrazia politica, che a suo avviso
«scivola sempre più tra le entità archeologiche». E come unica
alternativa alla tecnocrazia delle élite finanziarie, eurocratiche o
cosmopolite, vede avanzare le forze populiste, che a suo avviso si
possono appropriatamente definire «movimenti fascistici».
Al di là
delle ovvie differenze storiche con la prima metà del Novecento, tempo
di rivoluzioni e guerre mondiali, si possono individuare, secondo
Canfora, almeno due punti comuni tra le attuali destre
anti-establishment e le camicie nere, o brune, di quel periodo funesto.
Uno è l’insistenza sul richiamo nazionalista, ieri indirizzato a scopi
di espansione territoriale, oggi rivolto soprattutto contro gli
immigrati dai Paesi poveri. L’altro è la consapevolezza, ben viva a suo
tempo nell’ex socialista Benito Mussolini, della necessità di garantire
alle masse popolari una certa protezione sociale, senza urtare troppo
gli interessi del grande capitale, ma ponendo limiti al mercato e
rifiutando i vincoli dell’austerità finanziaria.
Nel frattempo la
sinistra è sparita, denuncia Canfora, o quanto meno ha rinunciato a far
valere le sue ragioni, per cui i lavoratori si sono trovati senza alcuna
rappresentanza credibile ed è risultato quindi agevole per la destra
più accanita «lucrare su un disagio vero (e senza prevedibile
riscatto)».
Anche se l’autore non lo formula apertamente, viene
spontaneo il paragone tra questo squilibrio e la situazione che Canfora
stesso descrive nel capitolo del libro dedicato alle grandi religioni
monoteistiche. Oggi il Cristianesimo, osserva, si è profondamente
trasformato e forse snaturato, un po’ come è avvenuto alla sinistra,
perché di fatto ha rinunciato al monopolio assoluto della verità e della
salvezza sulla base di credenze indefettibili. È diventato insomma «una
quasi-filosofia deistico-illuminista», che vede gli altri culti come
vie diverse, ma legittime, per entrare in contatto con la trascendenza.
Ben
differente la condizione dell’Islam, più somigliante alla destra
populista per il suo atteggiamento conflittuale (da un parte la lotta
tra sunniti e sciiti, dall’altra il potenziale scontro tra i
nazionalismi dentro l’Unione Europea) e soprattutto per la tendenza al
«massimo di aggressività verso l’esterno». Per gli integralisti
musulmani contro «atei, ebrei e crociati», per i sovranisti contro il
comodo capro espiatorio costituito dai residenti stranieri.