Corriere 22.9.18
Le frasi choc in oncologia contro un immigrato
di Alberto Pinna
Oncologia,
pazienti in attesa. È il turno di un giovane senegalese. Entra per la
visita ed esce dall’ambulatorio con a fianco una dottoressa. Si
allontanano verso il corridoio. Dopo qualche minuto uno dei familiari
che accompagnano gli altri malati sbotta: «Chissà quanto dobbiamo
aspettare per colpa di un negro!». Un altro rincara: «Prima loro poi
noi». Le voci si moltiplicano: «Non se ne può più». «Basta». Interviene
un’infermiera, le voci tacciono e quando ritorna il medico è tutto
normale e tranquillo. «Tanto che non mi sono accorta di niente . Due
giorni dopo l’infermiera mi ha riferito: “Dottoressa sa che cos’è
successo…”». Specialista in oncologia e cure palliative all’ospedale San
Giovanni di Dio, Maria Cristina Deidda trasecola e posta sul suo
profilo Facebook: «Chiedo scusa anche a nome dei miei concittadini
intolleranti. Mi vergogno profondamente». E raccoglie consensi ma anche
una valanga di insulti. Fra i meno esagitati: «Quando ci invaderanno, ti
passerà la voglia di proteggerli». «Gli ospedali sono ormai pieni di
negri». La rampogna persino qualche sedicente collega: «Pensa a fare il
medico e non a difenderli». Lei è più stupita che offesa: «Gli insulti
non mi toccano. Accompagnavo il paziente da un collega per una
consulenza e sono ritornata dopo qualche minuto. Razzismo? No, di più e
molto peggio, perché si è manifestato in un ospedale e in un ambito,
cure palliative, dove c’è dolore immenso. Tutti soffrono e noi non
possiamo guarirli. Curarli vuole dire davvero prendersi cura di loro,
dobbiamo farlo e lo facciamo con delicatezza, comprensione e affetto.
Con tanta sofferenza come si può essere così intolleranti?». I malati,
sottolinea, sono rigorosamente tutti uguali. «Sono frastornata da tanto
clamore. La politica non c’entra niente e non accetto
strumentalizzazioni. Quando ho scelto di fare il medico ho giurato di
assistere chiunque ne avesse bisogno senza distinzione di sesso, razza,
religione o ideologia. Se non ci avessi creduto avrei fatto un altro
lavoro».