Corriere 22.9.18
L’accordo vaticano-cina un successo di francesco
di Andrea Riccardi
La
firma dell’accordo fra Santa Sede e Repubblica popolare cinese è ormai
certo. Mons. Antoine Camilleri, sottosegretario vaticano per i rapporti
con gli Stati, sottoscrive in questi giorni il primo testo in comune tra
due «potenze» così asimmetriche, la Cina e la Santa Sede, le quali non
hanno mai avuto rapporti ufficiali dal 1949, quando Mao Zedong proclamò
la Repubblica Popolare.
Nel 1951, l’internunzio vaticano a
Pechino, Riberi, che non aveva avuto alcuna relazione con le nuove
autorità comuniste, dovette lasciare il Paese e si recò a Hong Kong.
Cominciò un lungo inverno tra Pechino e il Vaticano, considerato dai
cinesi, nel clima della Guerra Fredda, una forza straniera, occidentale e
imperialista.
Conseguente a questa visione, fu la creazione
dell’Associazione patriottica cattolica cinese nel 1958 per organizzare i
cattolici nel nuovo quadro politico. Così, sessant’anni fa,
cominciarono le ordinazioni di vescovi non nominati né riconosciuti dal
Vaticano, in genere preti che credevano di dover assumere quella
posizione per salvare il salvabile.
Nasceva quella che sarebbe
stata definita la «Chiesa patriottica», che conservava edifici e luoghi
di culto, aperti ai fedeli. D’altra parte si è parlato di una «Chiesa
clandestina», con vescovi riconosciuti da Roma, che credevano di dover
resistere al controllo governativo. Tra i due mondi, i patriottici e i
clandestini, non è avvenuta una biforcazione netta, ma ci sono stati
contatti e sovrapposizioni: pur nel quadro di un’unica Chiesa in Cina,
il cattolicesimo risulta diviso.
Il primo risultato dell’accordo
tra Cina e Vaticano è unificare l’episcopato in unione con il Papa: si
crea così una guida unitaria per una Chiesa, sfidata dalla
secolarizzazione che tocca in specie i cattolici più giovani,
dall’inurbamento, dalle Chiese neoprotestanti, molto attive e
organizzate spesso in comunità domestiche. È un grande successo, perché
non c’è al mondo una Chiesa così divisa come quella cinese e una
divisione tra cattolici non è mai durata così a lungo. L’unificazione è
la premessa per un nuovo slancio del cattolicesimo in Cina.
Un
altro significativo risultato è che il governo cinese prende sul serio
la Santa Sede come interlocutore, anche per risolvere una questione
religiosa tra cinesi. In fondo, la Cina, all’apogeo della sua forza
politica e economica, assorbita da tante problematiche geopolitiche,
avrebbe potuto considerare la diplomazia del Papa come «quantité
négligeable». Così non è stato ed oggi il rappresentante del Papa entra a
Pechino per la porta principale. Non più negoziati segreti, ma un
accordo ufficiale che riconosce dignità alla Santa Sede e al
cattolicesimo cinese. È un successo di papa Francesco e del suo
segretario di Stato, Parolin, da tempo impegnato nelle questioni cinesi.
Non
sono mancate critiche ai negoziati e all’accordo. L’accusa principale è
che si consegna il cattolicesimo al potere politico e, con un accordo
parziale, si svende una Chiesa che ha avuto tanti martiri.
È la
consapevolezza delle sofferenze, assieme alla necessità di affrontare
nuove sfide, che ha spinto il Vaticano su questa via, conscio della
delicatezza della situazione e del sacrificio di tanti cattolici nel
passato. Entrare in un’altra stagione forse non sarà facile per tutti i
cattolici. Ma la Chiesa vuole trovare nuovi spazi, in una società
divenuta molto più plurale e cangiante che in passato. La politica
dell’accordo è quella dei «piccoli passi».
Significativamente il
testo firmato non sarà reso pubblico. L’accordo individua un meccanismo,
considerato provvisorio e da rodare, per la nomina dei vescovi. È un
fatto decisivo per la Chiesa, su cui si è trovato un compromesso:
comunità cattoliche cinesi, governo e Santa Sede avranno, tutte e tre,
un ruolo nel processo di scelta. Il Papa conserva la possibilità di
rifiutare la nomina. Sono meccanismi utilizzati in passato. I governi
spagnoli e portoghesi, con il «patronato regio», sceglievano i vescovi
dei loro domini, che poi il Papa istituiva. Nella Cina del passato,
molti affari religiosi erano gestiti dalla Francia. Anche la Spagna di
Franco e alcuni Paesi latinoamericani sceglievano i vescovi.
L’accordo
non conclude un processo, ma apre una strada, che esigerà un costante
rapporto negoziale tra Vaticano e Cina. A questo fine, una
rappresentanza vaticana stabile a Pechino aiuterebbe i contatti e
l’individuazione di candidati all’episcopato adatti, pastorali e
accettati dalla Cina e dai cattolici cinesi. Resta il fatto storico che
l’accordo di Pechino, nonostante le discussioni che susciterà, fa cadere
uno degli ultimi muri della Guerra Fredda.