Corriere 21.9.18
Sarah Chang: «Senza rivali il carattere del mio Guarnieri»
La star, ex bimba prodigio: lo suono per Vivaldi. Che non mi annoierà mai
di Enrico Parola
Prima
di diventare una delle violiniste più applaudite al mondo è stata una
clamorosa bambina prodigio: a tre anni il padre, che la vedeva giocare
al pianoforte, le propose il violino; a quattro sosteneva l’esame per
entrare nella prestigiosa Juilliard School, a sei suonava il Concerto di
Bruch, a otto era chiamata per delle audizioni davanti a Zubin Mehta e
Riccardo Muti.
Ma Sarah Chang, nata nel dicembre di 38 anni fa a
Philadelphia, non era mai stata nella città natale del suo strumento,
Cremona. Colmerà la lacuna in grande stile, inaugurando lo Stradivari
Festival e il 15° concorso internazionale di liuteria ad esso collegato.
«Già, a pensarci è incredibile, era ora! Sono eccitata all’idea di
vedere finalmente i luoghi dove furono creati i primi e i più belli
esemplari del mio strumento; e sono sicura che, come altre città
italiane, Cremona mi sorprenderà e mi conquisterà con tante altre
bellezze: architettoniche, storiche, artistiche, culinarie…».
Nonostante
il Festival sia intitolato a Stradivari, Chang ammette di preferire i
Guarneri: «Suonerò con il mio, che fu creato nel 1717 e appartenne al
mio grande maestro Isaac Stern; adoro la potenza, la drammaticità e la
profondità che scaturiscono da questo strumento, posso dire che ha un
carattere incredibile. Ho provato alcuni Stradivari, ma finora non ne ho
trovato nessuno che fosse adatto al mio modo di suonare e di
interpretare più del Guarneri».
Chissà se visitando il Museo del
Violino ne troverà uno che la seduca. Intanto la aspettano le Quattro
Stagioni di Vivaldi: «Non importa che sia un brano suonato e ascoltato
centinaia di volte: è un simbolo del barocco ma allo stesso tempo uno
dei brani più popolari dell’intera storia musicale, ha una tale
freschezza che non annoia mai, ti lascia sempre l’impressione di
novità».
Di novità ne ha vissute tante nella sua vita, ad esempio
quando ha suonato in Corea del Nord, lei, americana di nascita e
sudcoreana per famiglia: «Sono coreani i miei genitori, papà violinista e
mamma compositrice, e lo erano anche i miei nonni; prima della
divisione i miei familiari avevano legami con il Nord. Suonare là fu
un’esperienza bizzarra, fu un concerto molto significativo per tutti i
miei parenti. Credo sia stata la prima volta in cui veramente ho toccato
con mano la forza che la musica può avere: non si trattava solo di
un’esibizione su un palcoscenico, ma anche un messaggio non verbale e
politico».
Sono state anche queste esibizioni a farla eleggere,
nel 2006, tra le otto donne più influenti d’America: «Mi fece piacere,
ma io sono una musicista, non un politico; se posso spendere questa mia
“influenza” lo faccio per sostenere l’educazione musicale tra i giovani;
sono stata ambasciatrice artistica andando a fare lezioni tra i bambini
della Bosnia e dell’Ucraina, in Africa e in Sudamerica, suonando con
loro e nelle scuole; è stata un’esperienza molto appagante».
Tra
le incombenze della celebrità vi fu anche un cimento atletico: nel 2004
le chiesero di portare la torcia olimpica a New York, nel suo viaggio di
avvicinamento ad Atene: «Fu divertente, mi sentivo onorata. Era
caldissimo, dovetti correre per sette quartieri, io che non corro
mai…speravo di non cadere».
Si è emozionata più di quanto non lo
fosse a otto davanti a Muti e Mehta: «Allora non mi rendevo conto della
grandezza e dell’importanza di chi avevo di fronte; erano gentili e
simpatici, non mi impressionarono né mi misero soggezione. Poi lavorai
con tutti gli altri grandi direttori; Masur, Maazel, Sawallisch furono
quasi dei padrini per me».
In quei primi passi della carriera
Chang conduceva quasi una doppia vita: «Da una parte c’era la Sarah
bambina, contenta di stare in famiglia, che andava volentieri a scuola
per stare con i suoi coetanei; dall’altra la musicista che si abituò
presto a dividere il palco con artisti che avevano tre, quattro volte i
miei anni, che viaggiava, volava, faceva interviste, scopriva alberghi e
ristoranti. La mia fortuna è stata essere circondata da manager e amici
bravi, che mi hanno lasciato i miei spazi e i miei tempi».