giovedì 13 settembre 2018

Corriere 13.9.18
Intervista con il cardinale Bagnasco
«Qualunque ritardo sarebbe imperdonabile»
di Gian Guido Vecchi


«Il mondo guarda a Genova e all’Italia. E l’essenziale è fare bene e presto. Qualunque ritardo per motivi di competizione politica o economica sarebbe imperdonabile, non si specula sui morti». Così il cardinale Angelo Bagnasco, genovese prima ancora che arcivescovo di Genova.
«Il mondo guarda a Genova e all’Italia. E l’essenziale è fare bene e presto, prestissimo. Gli sfollati. E il ponte, che non è solo un pezzo di autostrada ma un’arteria fondamentale, senza la quale la città resta divisa. Nessuno ha la bacchetta magica, è chiaro. Ma qualunque ritardo o freno per motivi di competizione politica o economica, al di là delle difficoltà oggettive, sarebbe gravissimo e imperdonabile. Non si può speculare sul questa tragedia e sui morti. Anche partendo da posizioni diverse, e pensando siano tutte legittime, il criterio per la ricostruzione del ponte si dice in due parole: subito e sicuro». Il cardinale Angelo Bagnasco è genovese, prima ancora che arcivescovo di Genova. Da piccolo, con i genitori e la sorella, viveva in una strada dietro il porto, Salita Montagnola della Marina 4. «È un quartiere cui sono affezionatissimo, la parte più antica di Genova, quasi un’acropoli. Quel piccolo caseggiato esiste ancora, era dietro la vecchia caserma dei Vigili del fuoco, da bambini li guardavamo affascinati da luci e sirene…».
Eminenza, come ha reagito la sua città?
«In modo compatto. Tra cittadini e istituzioni, si è vista una capacità unica di vicinanza, intesa e solidarietà. Ho ringraziato il Signore e ringrazio i genovesi. La forza di carattere del genovese, introverso e riservato ma vero e tenace, si rivela soprattutto nelle difficoltà, come sempre. Sono andato sul posto per ringraziare le forze dell’ordine, i volontari, la Protezione civile…Penso in particolare al lavoro di altissimo livello dei Vigili del fuoco, alla loro generosità: scavando tra le macerie, era come se cercassero i propri cari».
Ha visto i parenti delle vittime?
«L’indomani sono andato all’obitorio, per dire una preghiera. Ho avuto occasione di incontrare molte famiglie. Certo, ci sono state anche parole: perché, com’è stato possibile? Il dolore, gli interrogativi. Ma c’era soprattutto quel silenzio…Il dolore pietrifica. Si cerca una vicinanza umile, silenziosa, che si fa sentire ed è stata recepita».
Un volto che l’ha colpita?
«All’ospedale San Martino, tra i feriti, ricordo un giovane immobilizzato a letto, l’avevano trovato appeso al suo furgone. Mi confidava che la moglie aspetta un bimbo e lui non poteva morire: il pensiero del figlio che stava per nascere gli ha dato una forza immensa, la voglia di vivere».
Qual è la cosa più urgente da fare, ora?
«Penso alla gente e alla città. La gente, anzitutto: duecentocinquanta famiglie sfollate da una cinquantina di caseggiati vicino ai monconi del ponte. Le amministrazioni stanno cercando tutti gli alloggi possibili e noi stessi, come Chiesa, ci stiamo impegnando. Ma queste persone desiderano rimanere nel loro rione e bisogna tenerne conto il più possibile, cercare al più presto soluzioni vicine e ricostruire il quartiere».
Questo ci porta al ponte…
«Ci sono strade ordinarie, ma Genova è lunga e stretta fra mare e monti. È necessario che la città non sia divisa. Si tratta della vita quotidiana, del lavoro…Del resto, al di là delle priorità materiali ce n’è una più profonda, spirituale».
Quale?
«Non perdere la speranza. La speranza è una forza enorme che ti permette di affrontare qualunque difficoltà. Però non è qualcosa che metti in cassaforte e poi ritrovi. Va alimentata, può diminuire o perdersi: e questo sarebbe il disastro più grande. Tra cittadini e istituzioni locali e nazionali c’è bisogno di far crescere la speranza».
Ha messo in guardia da «ogni piccola rendita faziosa». A cosa si riferiva?
«A ogni forma di rivalità che nasca da invidie locali o rendite politiche di qualsiasi natura, per fare bella figura. Non ci si può intestare meriti sulla morte e il dolore».
Teme che tra governo ed enti locali la reazione «compatta» possa incrinarsi?
«Finora ho avvertito un clima di compattezza istituzionale che deve continuare a produrre frutti. Sono convinto che la nostra città abbia tutte le risorse morali e le eccellenze lavorative per rialzare la testa, come ha già fatto nelle tragedie del passato: tutti i soggetti si sono messi assieme senza rivalità inutili. Per questo dico che qualunque diatriba o lungaggine per interesse politico o economico sarebbe imperdonabile».
E quindi?
«Ci sono già state decisioni ma occorrono subito interventi precisi, accelerazioni normative che riconoscano lo stato di emergenza. Penso al rione da ricostruire e al ponte: subito, sicuro, genovese e anche bello, già che ci siamo. Il mondo ci guarda. Guai se prevalesse l’impressione che si è fermi o attendisti».