giovedì 26 luglio 2018

La Stampa 26.7.18
Mattarella mette in guardia dal razzismo
“Veleno che penetra ancora nella società”
Il Capo dello Stato: anche i rom e i sinti tra le vittime delle Leggi Razziali del fascismo. Salvini: basta parassiti
di Francesco Grignetti


Era il 26 luglio 1938, ottanta anni fa: il Duce riceveva in pompa magna a palazzo Venezia alcuni tra gli scienziati più illustri d’Italia per la consegna del Manifesto della razza. A rileggerlo, c’è da rabbrividire: «La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana... Gli ebrei non appartengono alla razza italiana». Fu la premessa delle leggi razziali. E ieri Sergio Mattarella ha voluto ricordare quel passaggio orribile della nostra storia. «Questa presa di posizione - afferma il Capo dello Stato - rimane la più grave offesa recata dalla scienza e dalla cultura italiana alla causa dell’umanità».
Parla del passato, Mattarella, ma in tutta evidenza parla anche dell’oggi perché il virus del razzismo è sempre più forte anche oggi. Non è un caso che Mattarella rievochi la crudeltà verso le popolazioni africane nelle nostre colonie, la persecuzione dei cittadini di religione israelita e la caccia spietata a rom e sinti. «Quelle mostruose discriminazioni sfociarono nello sterminio, il porrajmos, degli zingari», dice il Presidente sulla scorta di un dossier che La Stampa ha potuto consultare negli archivi del Quirinale. Guai allora a dimenticare le scelte che gli italiani compirono nel 1938. «Il veleno del razzismo - conclude Mattarella - continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri».
E se non sfugge la coincidenza tra questa ricorrenza e l’animosità della maggioranza giallo-verde nei confronti di stranieri e zingari, il ministro Matteo Salvini svicola con eleganza. «Il Presidente Mattarella - dice - con le sue parole ricorda un passato che non dovrà mai più tornare. È folle e fuori del mondo ritenere una razza superiore a un’altra». Ma intanto, a proposito dei Rom, usa toni brutali: «In Italia ci sono 150 mila persone rom ma i problemi sono limitati a 30 mila che si ostinano a vivere nell’illegalità. Il problema è questa sacca parassitaria».

La Stampa 26.7.18
Fanfani e padre Gemelli firmarono contro gli ebrei
di  Fra. Gri.


A firmare il Manifesto della razza furono 10 scienziati, alcuni notissimi come Sabato Visco, direttore dell’Istituto di fisiologia dell’Università di Roma, o Nicola Pende, direttore dell’Istituto di Patologia alla stessa Università. I loro nomi sono noti, anche se poi alcuni cercarono di sottrarsi alla responsabilità, e qualche storico ha ritenuto che le loro firme fossero state in qualche modo «sollecitate» dal regime, visto che era stato Mussolini stesso a ispirarne parole e concetti.
Grave fu però la corsa di tanti intellettuali, ben 330, ad aggiungere la propria firma a quello che chiaramente era un passaggio ispirato dal Duce. Uno fu padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un altro, il giovane professore di Storia economica Amintore Fanfani. Oppure il poeta Ardengo Soffici, lo scrittore Giovanni Papini, il giornalista Mario Missiroli, il critico cinematografico Luigi Chiarini. A dare spazio alle teorie del razzismo italiano nacque una rivista specifica, La difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi, giornalista distintosi per le campagne antisemite promosse sulle pagine del giornale Tevere e per un libro dal titolo Contra Judeos. Caporedattore era Giorgio Almirante.

La Stampa 26.7.18
Fin dal 1926 respingimenti e allontanamenti forzati
di Fra. Gri.

È una pagina semi-ignorata della storia italiana, la persecuzione degli zingari che il regime portò avanti fin dal 1926 con respingimenti e allontanamenti forzati di Rom e Sinti stranieri. Il Viminale diramò circolari per «epurare il territorio nazionale dalla presenza di zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica per le caratteristiche abitudini di vita».
Furono coinvolte le forze di polizia e le prefetture dell’Istria e del Friuli, in particolare, nel tentativo di sbarrare la strada ai gitani dei Balcani che nel loro nomadismo tentavano di entrare in Italia. E siccome a loro volta la polizia del confinante Regno di Jugoslavia si rifiutava di accettarli, sono accertati i respingimenti clandestini a opera della Guardia di Finanza presso certi valichi di frontiera incustoditi.
Con il 1938, Mussolini si convinse che occorreva la pulizia etnica degli zingari nelle regioni di confine, in quanto tutti potenziali spie del nemico. Furono fatti rastrellamenti e deportazioni. Dall’Istria e dal Trentino gli zingari furono portati al confino in Sardegna. Il 20 ottobre 1942 il nuovo prefetto istriano Berti poteva dichiarare che con le ultime deportazioni in Istria non c’era più un solo Rom. I confinati si poterono allontanare dall’isola soltanto dopo il 1945.

La Stampa 26.7.18
Un richiamo necessario per un Paese smemorato
di Amedeo Osti Guerrazzi


Sono parole molto forti quelle che vengono dal Presidente della Repubblica, una delle poche autorità morali ancora riconosciute dalla stragrande maggioranza della società italiana. E forse era ora. Non esiste nessun mito più radicato nella nostra opinione pubblica di quello degli «italiani brava gente»; sebbene sia stato sfatato dagli storici, il concetto che gli italiani siano stati, anche durante il fascismo, fondamentalmente «buoni» è duro a morire.
Se anche si dice che il fascismo «sbagliò» nell’emanare le leggi antiebraiche, è opinione comune che queste furono applicate «all’acqua di rose», e che in fondo gli ebrei «non se la passavano tanto male». Nulla di più falso. La persecuzione fu durissima, e colpì ogni aspetto della vita degli ebrei italiani, rendendo loro impossibile lavorare, avere amici non ebrei, accedere a una istruzione superiore. La persecuzione, anche se non sfociò in un massacro operato direttamente dagli italiani, fu estremamente dura, e dopo l’occupazione tedesca fu la necessaria premessa al collaborazionismo fascista, e alla deportazione e allo sterminio di oltre 7000 cittadini italiani di fede ebraica.
Ma il Presidente richiama l’attenzione anche sulla sorte di sinti e rom. Chi ricorda che anche loro sono stati vittime del razzismo fascista? Chi conosce i campi di concentramento di Boiano e Agnone, dove centinaia di «zingari» furono rinchiusi durante la guerra, considerati come soggetti pericolosi per la patria italiana? Chi sa che le condizioni in quei campi erano difficilissime?
Tutto questo ha voluto ricordare Mattarella. È un richiamo duro, amaro da mandare giù, ma necessario. Necessario per un Paese che, oltre a essere smemorato, sembra continuare negli errori del passato.

Corriere 26.7.18
Famiglia Cristiana, affondo su Salvini: «Vade retro» Lui: pessimo gusto
di Giuseppe Alberto Falci


ROMALa Chiesa risponde ai toni duri usati dal ministro dell’Interno Matteo Salvini sul tema dei migranti. E lo fa servendosi del settimanale Famiglia Cristiana, da oggi in edicola. Per replicare alle prese di posizione del titolare del Viminale sugli stranieri in Italia la copertina è inequivocabile. Si vede una mano che si leva verso il volto del leader del Carroccio, accompagnata da un titolo sotto che recita così: «Vade retro Salvini».
Quando la notizia della copertina del settimanale si diffonde e arriva nei palazzi della politica il ministro dell’Interno si trova al Senato. Non sa ancora nulla. A un certo punto, quando esce da un’audizione viene però preso d’assalto dai cronisti che gli riferiscono del titolo di copertina. Salvini è sorpreso, non si aspettava un’uscita di tale portata. «Ciumbia, addirittura Satana?», è la reazione. Poi si ferma un attimo, riflette qualche secondo, e replica ancora.
Se c’è una cosa che non accetta è quella sentirsi paragonare a Satana. Infatti sbotta: «Mi sembra di pessimo gusto. Io non pretendo di dare lezioni a nessuno, sono l’ultimo dei buoni cristiani, ma non penso di meritare l’accostamento al diavolo». Il che lo induce a far sapere di «avere quotidianamente il sostegno di tante donne e uomini di Chiesa. C’è modo e modo di pensarla anche all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Il catechismo — chiosa — dice che l’accoglienza è un dovere nella misura del possibile ed in Italia la misura è colma». Dopo l’ennesima tragedia in mare il settimanale apre l’inchiesta con le riflessioni della Conferenza episcopale e ricorda i 1.490 morti dal 1 gennaio 2018. «Come pastori non pretendiamo di offrire buone soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti...».
L’obiettivo di Famiglia Cristiana è certamente Salvini ma il condirettore Luciano Regolo, precisa in un video, che «non c’è nulla di personale, nulla di ideologico».
La notizia fa il giro del palazzo e scatena in un attimo la reazione degli avversari dell’inquilino del Viminale. In particolare è l’ex premier Matteo Renzi il primo a reagire: «Se in campagna elettorale mostri in modo strumentale il rosario. Se fai finta di giurare sul Vangelo. Se fai le battaglie per il crocifisso nelle sale pubbliche. Se fai tutto questo, non hai il diritto di arrabbiarti per una copertina di Famiglia Cristiana». Poi tocca a Ettore Rosato: «Non capita di frequente che il giornale cattolico scenda in campo così vistosamente».
Roberto Fico, presidente della Camera e critico nei confronti di Salvini, preferisce non replicare: «Non commento». Dura invece la leghista Barbara Saltamartini: «Spiace constatare che Famiglia Cristiana sia diventato un organo di stampa politico. Oggi paragonare Salvini a Satana significa schierarsi dalla parte degli scafisti e dei commercianti di esseri umani».

Corriere 26.7.18
Torre del Greco (Napoli)
A Massimo Cacciari il premio «La Ginestra» dedicato a Leopardi


All’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, filosofo e docente universitario, è stato assegnato ieri il Premio nazionale «La Ginestra». Il riconoscimento, nato per celebrare la figura di Giacomo Leopardi, è dedicato a personalità della cultura, del teatro e dello spettacolo che si sono distinte nello studio e nella divulgazione dell’opera del grande poeta di Recanati. A Cacciari il comitato scientifico ha riconosciuto di «aver rinnovato potentemente la riflessione filosofica, portando il pensiero a misurarsi, in un processo mobile e continuo, con i suoi stessi fondamenti».
L’ex sindaco di Venezia, autore di una ricca produzione scientifica — basti pensare ai suoi più recenti saggi Labirinto filosofico (Adelphi) e Generare Dio (il Mulino) — ci porta «nel cuore del pensiero poetante di Leopardi e ne restituisce la straordinaria ricchezza e il fascino permanente». La cerimonia di premiazione è prevista per il 13 settembre a Torre del Greco (Napoli), nella villa delle Ginestre, dove Leopardi soggiornò dal 1836 al 1837 e compose alcune delle sue liriche più famose, tra cui La Ginestra e Il tramonto della Luna. La manifestazione, giunta all’undicesima edizione, è organizzata dal Rotary Club «Torre del Greco-Comuni Vesuviani».

il manifesto 26.7.18
Il Comune di Roma dà il benservito alla Casa delle donne
Il tetto che scotta. Ieri l’annuncio della revoca della convenzione con scadenza nel 2021. 60 giorni di tempo per impugnare la decisione. «Ci opporremo con tutte le forze»
di Alessandra Pigliaru


La notizia è giunta ieri nel pomeriggio: il Comune di Roma revoca la convenzione alla Casa internazionale delle Donne. Il direttivo di via della Lungara è stato convocato appunto ieri nella sede dell’assessorato al patrimonio alla presenza delle assessore Laura Baldassarre, Rosalba Castiglione e Flavia Marzano, che hanno annunciato quanto stabilito alla presidente Francesca Koch, Lia Migale, Giulia Rodano, Maria Brighi e Loretta Bondì. Attendevano da mesi, insieme alle migliaia che si sono mobilitate in sostegno della Casa, la risposta relativa alla memoria presentata a gennaio sulla riduzione del debito (833mila euro) richiesto con insistenza dal Comune che tuttavia non teneva conto dei servizi offerti, delle spese ordinarie e straordinarie sostenute dalla Casa. A niente sono valse le trattative intercorse in questi mesi, poi bruscamente interrotte grazie anche alla mozione firmata da Gemma Guerrini, consigliera e presidente della Commissione delle elette, presente anche lei ieri per notiziare a proposito della revoca della convenzione.
Non sono valse a niente neppure la pazienza, il tentativo di mediazione, la presa in carico di una responsabilità economica di saldare la morosità trovando un punto di incontro sensato. Così come a niente è servita la disponibilità espressa, nei mesi delle (finte) trattative, alla partecipazione a progetti che potessero consolidare il rapporto che dal 1992 la Casa ha con Roma Capitale che l’ha riconosciuta tra le sue opere. Servizi, spese vive sostenute, sia ordinarie che straordinarie, anche supplendo carenze delle istituzioni, sono tutte questioni che alla giunta 5stelle non interessano. Dunque memoria respinta in nome di una strada, che è quella della burocrazia, lasciando da parte, sempre, quella della politica. Ma è davvero così? Non si tratta di un «semplice» sfratto dai locali del Buon Pastore, la vicenda è ancora più grave di così proprio perché il merito è tutto politico. Si tratta dell’azzeramento, e conseguente appropriazione, di una esperienza attraverso cui il progetto della Casa è sorto, trasformandosi negli anni. Mettere a bando i servizi, rilanciare su ipotetici centri di coordinamento antiviolenza, non tiene conto del significato sotteso alla Casa. Sociale, culturale ma anzitutto politico. Ed è in quest’ultimo punto che la giunta 5stelle vuole intervenire, agendo in maniera dissennata e non tenendo conto di quante e quanti dalle piazze alle università, dall’Italia e dal resto del mondo, firmano petizioni, fanno appelli, manifestazioni, chiedono di essere ascoltati e ascoltate, sottoscrivono affinché possano mostrare sostegno pubblico e concreto a un progetto che è uno dei fiori all’occhiello di Roma e non solo. Non si può che rispondere a tutto questa violenta e unilaterale presa di posizione con una secca e ferma mobilitazione che non arretri di una virgola sul guadagno di libertà che risiede in luoghi come la Casa internazionale delle donne.
In un comunicato stampa diffuso ieri, le esponenti del direttivo presenti alla riunione, dicono infatti che faranno «opposizione a tutto campo. Non possiamo – proseguono – non rilevare che l’annuncio della revoca della Convenzione avviene alla vigilia di agosto, nella peggiore tradizione di ogni vertenza pubblica e privata nel nostro paese. La Casa Internazionale delle donne e tutte le attività e servizi che al Buon Pastore vengono erogati rischiano la chiusura a causa di questo ulteriore incomprensibile attacco della giunta Capitolina al femminismo e alla vita associata a Roma; noi abbiamo proposto una transazione che chiuda definitivamente la questione del debito; grazie al grande sostegno che abbiamo ricevuto con la Chiamata alle arti e con la grande mobilitazione in Campidoglio del 21 maggio, c’è a Roma e nel paese la consapevolezza di quanto negativo e grave sarebbe scrivere la parola fine alla esperienza della Casa Internazionale delle donne. Ci sentiamo per questo di chiedere a tutte e a tutti di sostenerci, di continuare la campagna di solidarietà e anche di sottoscrivere». Sembra incredibile ma una volta di più la giunta Raggi stupisce per totale mancanza di presa sulla realtà. E per sordità, prima di tutto politica.

La Stampa 26.7.18 Leonardo Coen
Un falso d’artista o un autentico sudario? La disputa scientifica sulla Sindone di Torino – che secondo la tradizione cristiana avrebbe avvolto il corpo di Gesù dopo la morte – dura da decenni. L’ultimo capitolo lo hanno scritto gli italiani Matteo Borrini e Luigi Garlaschelli: in base a esperimenti realizzati secondo le tecniche dell’antropologia forense, le tracce di sangue non sarebbero compatibili con la posizione del corpo, né sulla croce, né disteso nel sepolcro. Non è la prima volta che si dibatte sulle tracce ematiche. Ne abbiamo parlato con Garlaschelli e con il professor Baima Bollone, medico legale sostenitore dell’autenticità della Sindone


Intervista 1 “Tracce ematiche certamente irreali. Il telo è un dipinto”
Professor Garlaschelli, avete dissacrato la reliquia più famosa del mondo?
Non sono uno smontamiracoli. Non è colpa mia se in Italia vanno così forte. La Sindone è un oggetto misterioso per antonomasia. Io sono uno scienziato curioso. Non sono un credente. Ma Borrini lo è. Anzi, ha insegnato in Vaticano.
Cosa?
Un corso per esorcisti.
Curioso…
Curioso che nessuno si sia domandato perché sul lenzuolo della Sindone ci siano quei rivoletti di sangue così belli, didascalici. Si vede a occhio che non sono realistici. È un’opera pittorica.
Dicono che le vostre conclusioni siano frutto di un pregiudizio antireligioso.
Fu il cardinale Ballestrero a dire, a proposito degli studi sulla Sindone, che le ragioni della scienza spesso non coincidono con quelle del cuore. La Chiesa ufficialmente non prende posizione. Poi, nei fatti, dà spazio sostanzialmente ai sindonologi…
Che vi vedono come fumo negli occhi…
Abbiamo utilizzato tecniche e protocolli recenti di indagini forensi: per simulare la crocifissione con croci di forme e tipi di legno diversi, analizzando svariate posizioni del corpo, compreso quelle delle braccia. Ci siamo comportati come se avessimo dovuto ricostruire una scena del crimine. Per capire come potevano formarsi le macchie di sangue su polsi, avambracci; o quelle sul costato; ai piedi… insomma, le macchie che si vedono sulla figura della Sindone.
I sindonologi affermano che il vostro lavoro non è serio a livello scientifico.
Sapevamo che avremmo suscitato un vespaio: sollevato soprattutto da un piccolo gruppo di sindonologi fanatici che attribuiscono alla Sindone un’origine che ha più a che fare con la fede che con la scienza, contro ogni evidenza. Il nostro è stato un lavoro scrupoloso, il mio collega è un antropologo famoso e molto apprezzato.
Altra obiezione: studi di questo tipo erano stati già tentati.
In parte. Nessuno, però, ha fatto prove sperimentali.
Vi accusano di non aver tenuto conto che il sangue di un uomo flagellato, ferito, colpito e poi crocifisso scorre a velocità e piglia direzioni diverse da quelle provocate nei vostri esperimenti, con un manichino e in posizione inerte.
Il sangue che cola non è coagulato e se coagulato non colerebbe: che sia più o meno vischioso, non cambierebbe direzione. L’andamento delle macchie dimostra che le tracce non sono coerenti, fa supporre che siano state lasciate in momenti diversi. Se qualcuno riuscisse a spiegarlo… Le faccio un esempio. La famosa ferita sul costato, provocata da una lancia: ebbene, il sangue cola in lunghi e separati rivoli, va a finire sotto la scapola e lì si accumula. Non arrivava alla regione dei reni, per formare la cosiddetta ‘cintura’. Sia che il corpo fosse sdraiato nel sepolcro, sia sulla croce, le macchie sui polsi e sulla regione lombare non avevano una spiegazione logica.
Morte e resurrezione: le avete immaginate come sono state raccontate nei Vangeli?
Abbiamo seguito la narrazione tradizionale, supponendo tutta una serie di eventi e quel che avrebbero comportato, non analizzando la sostanza che ha formato le macchie di sangue, ma verificando come potrebbero essersi formate nella figura della Sindone. La scienza procede per ipotesi.
Che idea vi siete fatti della doppia immagine impressa in negativo sul tessuto di lino della Sindone?
L’immagine pare una sorta di proiezione ortogonale, troppo bella per essere vera. Mi spiego: provando a riprodurla su un lenzuolo delle dimensioni identiche a quelle della Sindone, ne esce fuori un’immagine deformata. Quella che vediamo è piuttosto una rappresentazione.
Intervista 2 “Ma un manichino  non sanguina come  un uomo torturato”
Professor Baima Bollone, secondo gli esperimenti di Borrini e Garlaschelli molte macchie di sangue della Sindone risulterebbero irrealistiche.
Le loro conclusioni si basano su un metodo di tecnica di medicina forense – il BPA – che ha dato luogo a diversi errori giudiziari e che è stato sconfessato dall’Accademia Statunitense delle Scienze.
Però la relazione sulla simulazione della crocifissione, per verificare come potrebbero essersi formate le macchie di sangue sulla figura della Sindone, è stata pubblicata dal Journal of Forensic Sciences, una rivista prestigiosa del settore…
Infatti è una delle riviste fondamentali.
Se il metodo utilizzato, come dice lei, non è affidabile, non dovrebbe avere rigore scientifico e non avrebbe dovuto apparire su una rivista così…
Premetto che si tratta di due studiosi stimabilissimi e che non sono polemico: io faccio il mio mestiere, in questo mondo c’è spazio per chiunque. Sulla Sindone c’è una sterminata letteratura scientifica e non. C’è di tutto. Studi con pregiudizi e studi senza. Nel caso specifico, il loro lavoro mi è sembrato un po’ a tesi.
In che senso?
Per esempio, l’illustrazione della Sindone che hanno utilizzato per l’esperimento è del 1931: da allora la tecnica fotografica ha fatto passi da gigante. Fossero venuti da me, gli avrei fornito immagini più recenti e dettagliate.
Hanno detto di aver utilizzato fotografie in scala reale, in altissima risoluzione.
Bastava che contattassero e avrebbero evitato alcune ingenuità.
Quali?
Intanto, hanno usato un metodo obsoleto; poi non hanno tenuto conto nella simulazione che il sangue dell’uomo crocifisso era sottoposto a stress, quindi, soggetto a fuoruscite ben diverse da quelle di un uomo in condizioni normali. Un’altra grossa sciocchezza riguarda la posizione, immaginare cioè una persona che stesse assolutamente immobile, quando invece, prima di morire, aveva riportato lesioni, traumi, ferite in differenti parti del corpo. Certamente, nell’atto dell’esecuzione, lo choc ipovolemico è tale da comportare flussi di sangue diversi, così come è diversa la viscosità.
Borrini e Garlaschelli hanno individuato delle incongruenze, a proposito di alcune macchie come quella che forma una cintura nella regione lombare. Dicono che somiglia a un segno fatto con un pennello o un dito. Che sia cioè un falso.
Non si può pensare al crocifisso simmetrico come siamo abituati a vederlo. Nel caso dell’uomo della Sindone, il gomito del braccio destro è piegato ad angolo acuto, mentre l’altro è disteso a 45 gradi. Ecco perché apparentemente molte macchie ematiche non trovano giustificazione….
Borrini e Garlaschelli sottolineano che le loro conclusioni sono in linea con le analisi già esistenti, come la datazione al radiocarbonio misurata nel 1988: la Sindone sarebbe un prodotto artistico medievale, risalirebbe tra il 1260 e il 1320…
A quella datazione col carbonio C14 non crede più nessuno. L’esame potrebbe essere stato falsato dalle vicissitudini della Sindone.
Eppure coincide con la prima apparizione pubblica (in Francia), avvenuta nel 1353, un bel mistero…
Si è parlato persino di Templari, tornati dalle crociate con il lenzuolo sacro. Esistono, in effetti, numerosi indizi che vanno molto più indietro nel tempo. L’imperatore bizantino Giustiniano II, per esempio, nel 692 fa coniare alcune monete d’oro e d’argento su cui rappresenta un volto di Gesù che è assai simile a quello della Sindone, persino con le sue macchie di sangue. Nel Codice Pray, una preziosa collezione di manoscritti medievali che si trovano alla Biblioteca Nazionale Széchényi di Budapest e che risalgono al 1192, c’è un disegno che evoca il tessuto della Sindone.

La Stampa 26.7.18
L’Italia “testarda” scopre vita su Marte
Pianeta rosso - Un lago salato sotterraneo
L’Italia “testarda” scopre vita su Marte
di Giunio Panarelli


e?” si chiedeva già nel 1973 David Bowie nella sua celebre Life on Mars. Ieri a dare una risposta a questo interrogativo che nel corso degli anni, oltre a ispirare il Duca Bianco, ha sempre affascinato l’opinione pubblica, è arrivato l’annuncio della scoperta di un lago, dal diametro di venti metri sotto i ghiacci del Polo Sud del pianeta rosso, che pare avere tutti i requisiti per ospitare vita al suo interno. Il lago si trova a circa un metro e mezzo sotto terra, è formato da acqua salata ed è protetto dai raggi cosmici: questi, dicono gli autori della ricerca, sono elementi che potrebbero addirittura far pensare anche a una nicchia biologica.
A rivelare la sua esistenza è stato il radar Marsis che dal 2003 orbita attorno al pianeta rosso a bordo della sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea. Ma se lo strumento è europeo, la scoperta è il risultato della collaborazione fra vari enti, tutti italiani: l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), le Università Roma Tre, Sapienza e Gabriele d’Annunzio (Pescara) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) che, nonostante i pochi mezzi a disposizione, hanno portato a termine una scoperta, pubblicata sulla rivista Science, destinata a rivoluzionare il futuro dell’esplorazione marziana. “Non troverete nulla, è impossibile guardare sotto Marte a quelle profondità. Il magnetismo delle rocce confonderà il radar, ci dicevano gli americani. Ma noi in silenzio facevamo e rifacevamo i nostri calcoli. Quanta testardaggine ci abbiamo messo”: hanno ricordato presentando la scoperta Elena Pettinelli, Enrico Flamini e Roberto Orose i tre scienziati senior che hanno gestito il team composto da 22 persone a cui sono arrivate anche le congratulazioni degli inizialmente scettici colleghi americani. Quest’ultimi hanno avuto da una parte il merito nel 1976 di compiere le missioni Viking sul pianeta rosso i cui dati indicavano con chiarezza che in passato Marte aveva avuto laghi, fiumi e mari, ma il demerito di non credere fino in fondo nella possibilità di trovare delle presenze di acqua ancora esistenti sul pianeta.
Infatti Roberto Orosei, sempre ieri, ha rivendicato come gli statunitensi “nel 2007 rilevarono un segnale simile, non lontano dal lago che abbiamo visto noi” ma “l’osservazione finì nel nulla”. Insomma per rispondere alla domanda iniziale: sì, c’è vita su Marte e se lo sappiamo non lo dobbiamo, per una volta, ai soliti ricercatori dai budget milionari della Nasa, ma a dei coraggiosamente testardi ricercatori italiani.

La Stampa 26.7.18
Moavero si smarca da Salvini sulla Crimea
“L’Italia non riconosce l’annessione di Mosca”
di Maria Corbi


Una politica estera italiana a due marce, quella di Matteo Salvini che difende la legittimità del discusso referendum sull’annessione russa della Crimea e quella europea di Enzo Moavero Milanesi che ieri, rispondendo a una domanda di Laura Boldrini durante il question time in Parlamento, ha chiarito la posizione sulla Crimea: «Il governo ritiene che vadano sempre rispettate le regole del diritto internazionale e l’Italia non ha riconosciuto le autorità regionali designate nel marzo 2014, aderendo alle sanzioni in accordo con quanto stabilito dall’Ue». Una dichiarazione che sconfessa quanto detto solo pochi giorni fa al «Washington Post» da Matteo Salvini che si era «allargato» su una questione che certo non è di competenza del suo ministero.
Moavero si era seccato per questa marcatura a gamba tesa del suo compagno di squadra. Ancora di più ovviamente si è seccato il governo ucraino che ha convocato in tutta fretta il nostro ambasciatore Davide La Cecilia per protestare e chiarire questa svolta nell’indirizzo della politica estera italiana. Il silenzio del ministro Moavero non ha certo aiutato, fino a ieri . E le sue parole adesso non lasciano spazio a interpretazioni, riportando l’Italia sulle posizioni europee. Anche per quanto riguarda le sanzioni alla Russia, di cui Lega e M5S più volte hanno prospettato l’eliminazione. «La posizione dell’Italia al Consiglio europeo – ha detto il ministro degli Esteri – è stata di non opporsi al consenso, e di consentirne quindi la proroga semestrale». «Sanzioni che devono avere un carattere strumentale per ottenere il rispetto degli accordi relativi al diritto internazionale. Non sono una punizione, ma devono servire al ripristino della situazione corretta», ha aggiunto riferendosi all’applicazione degli accordi di Minsk per mettere fine al conflitto tra Kiev e i separatisti filo-russi.
Laura Boldrini, autrice della domanda, ha sottolineato come la dichiarazione di Moavero di fatto smentisce quanto detto da Matteo Salvini. Una posizione che avrebbe messo l’Italia «in totale isolamento rispetto alla comunità internazionale. Le maldestre incursioni di Salvini in politica estera oltre a evidenziare le contraddizioni di questo governo creano imbarazzo e rischiano di far perdere credibilità al Paese». Salvini, dice ancora la parlamentare di Leu, «è sovranista a fasi alterne visto che non considera degna di tutela l’integrità della Crimea».
Perplesso sul doppio binario su cui sembra marciare il governo in politica estera anche Maurizio Gasparri, senatore di FI: «Qual è quindi la posizione del governo? Quella della Farnesina o quella di chi gerarchicamente ha un grado più elevato?. Più che un governo una gita scolastica, dove ognuno fa quello che vuole».

La Stampa 26.7.18
Le ultime 4 note di Bach
Nell’Arte della fuga un gioco di numeri e di relazioni segrete
di Sandro Cappelletto


Nella prima edizione a stampa dell’Arte della fuga di Johann Sebastian Bach compare una misteriosa avvertenza: «Il signor autore della presente opera, a causa della malattia agli occhi e della morte che poco dopo lo ha colto, non ha potuto portare a termine l’ultima Fuga, nella quale egli si faceva conoscere col proprio nome».
Le quattro lettere che formano il nome Bach corrispondono nella notazione musicale che ancora usano gli anglosassoni e i tedeschi a quattro note. Loro non chiamano le note come noi - do re mi fa sol la si - ma con le lettere: B corrisponde al si bemolle, A al la, C al do, H al si naturale. Bach: quel nome è già musica. L’ultima fuga inizia con quelle quattro sue note. E non finisce.
L’arte della fuga, un’opera incompiuta. Ma prima ancora un paradosso. L’arte è soggettività, estro, invenzione. La Fuga musicale è un meccanismo inesorabile, con le sue rigide regole da rispettare. Come un’equazione: se salti un passaggio, non la risolvi. Come fa una fuga a diventare arte?
Un flop commerciale
Il titolo non è di Bach, l’ha deciso il figlio Carl Philipp Emanuel, uno dei suoi 20 figli, 7 dal primo, 13 dal secondo matrimonio. O forse è nato dalla fantasia di Friedrich Wilhelm Marpurg, un compositore e brillante critico al quale i Bach-figli si rivolgono dopo la morte del padre nel tentativo di far cassa stampando e vendendo le sue opere. In ogni caso, è un titolo postumo: Bach muore il 28 luglio 1750, a 65 anni, e il 7 maggio 1751 sul giornale di Lipsia, la città dove la famiglia vive da 30 anni, appare questo avviso: L’arte della fuga può essere prenotata «pagando in anticipo 5 talleri presso le migliori librerie della Germania, e a Lipsia anche presso la vedova, la signora Anna Magdalena». Il termine ultimo per la prenotazione è fissato al 29 settembre, giorno della grande Fiera di San Michele.
Nonostante il lancio pubblicitario, cinque anni dopo erano state vendute soltanto 30 copie. Il prezzo intanto era sceso da 5 a 4 talleri e il ricavato non bastò neppure per ripagare il costo delle lastre di rame usate per la stampa. Un flop. L’arte della fuga non prevede nessun luogo, nessuna data per la prima esecuzione. Cantate, Passioni, Messe, Oratori, Magnificat: per tutta la vita Bach ha scritto musica su commissione, rispettando obblighi, scadenze, festività, anniversari. I suoi ritmi compositivi sono inimmaginabili rispetto a quelli di un compositore nostro contemporaneo.
Come se dicesse: fate voi
Qui no. L’arte della fuga non gli è stata comandata da nessuno, non è dedicata a nessuno. Nasce dalla sua libertà e dalla sua scienza. Sullo spartito Bach non indica quali strumenti debbano suonarla. Come se dicesse: fate voi. E i musicisti si sono sentiti liberi di darle vita in mille modi diversi: col clavicembalo, col pianoforte, con l’organo, con un quartetto d’archi, con un quartetto di sassofoni, solo con violini, solo con viole, solo con violoncelli, con un’intera orchestra. La riconosci sempre, funziona sempre.
Ma torniamo a quell’avvertenza, forse scritta dal figlio, forse dall’astuto Marpurg: siccome l’autore è morto proprio a questo punto, allora abbiamo deciso di «rendergli omaggio introducendo a chiusura dell’opera il corale a quattro voci che egli, ormai cieco, aveva dettato a un amico». Ma come? Se Johann Sebastian malato, cieco, ha avuto la forza di «dettare a un amico» un Corale a quattro voci, non poteva trovarla anche per dettare il completamento dell’ultima fuga? Certo che poteva, ma non ha voluto. Una fuga musicale è come una spirale, come un disegno di Escher che moltiplica un’immagine all’infinito. È come i numeri, che non hanno mai una fine. Anche al numero più lungo, più immenso, più inconcepibile puoi sempre aggiungere: più uno.
14 e il doppio di 14
I numeri: prendiamo il cognome Bach e trasformiamo le lettere dell’alfabeto in numeri: B è la seconda, A la prima, C la terza, H l’ottava lettera dell’alfabeto: 2 + 1 + 3 + 8 fa 14. Bach era iscritto come membro numero 14 della Società per la Scienza musicale di Lipsia, che forse è la sola possibile, segreta dedicataria di quest’opera. E nell’Arte della fuga si ferma al Contrappunto numero 14.
Johann Sebastian Bach: le iniziali del suo nome e cognome sono J – S – B. Ma a lui piaceva firmarsi anche con altre tre lettere S - D - G: Soli Deo Gloria, Gloria all’unico Dio. La somma delle tre lettere J, S e B dà lo stesso numero della somma di S, D e G.: 28; 28, il doppio di 14. Bach due volte. I numeri e le loro relazioni segrete. L’ultima nota dell’ultimo incompiuto quattordicesimo Contrappunto dell’Arte della fuga, dove Bach si interrompe così bruscamente da toglierti il respiro, cade alla battuta 239. 2 + 3 + 9 fa 14. Nulla accade per caso.
Cieco e anziano
Come se avesse voluto dirci: io, cieco e anziano, mi sto avvicinando al momento del congedo, continuate voi, questo è il testimone che vi lascio. Bach: il suo cognome in tedesco significa ruscello, torrente. Ma Beethoven ha scritto che bisognerebbe chiamarlo mare, oceano. Un fiume, un mare di musica che è capace di portare con sé, e a noi, la felicità più profonda, misteriosa e indicibile. Johann Sebastian Bach, rigoroso come un matematico, fantasioso come un giocoliere. Continuate voi L’arte della fuga. Fai presto a dirlo. Chi osa mettere le mani su questa partitura? Meglio, molto meglio lasciarla com’è. Perfetta e incompiuta.

Repubblica 26.7.18
Bob Dylan, la prima volta di "Blowin’ in the wind"
di Ernesto Assante


ROMA Bob Dylan aveva 20 anni, era scapigliato, con la chitarra in braccio sul palco del Gerde’s Folk Culb il 16 febbraio del 1962. Stava per uscire il suo primo album (nel marzo seguente), doveva tenere un piccolo concerto: cinque canzoni in tutto, l’ultima delle quali era Blowin’ in the wind.
Quella esecuzione, la prima dal vivo della leggendaria canzone che sarebbe stata pubblicata solo l’anno seguente, è parte di Bob Dylan Live 1962- 1966, che esce domani e raccoglie alcune straordinarie gemme.
Rarità che fino ad oggi erano uscite solo in Giappone, 29 tracce che raccontano il Bob Dylan degli esordi e lo accompagnano fino al clamoroso abbandono delle scene del 1966, dopo la "svolta elettrica". Blowin’ in the wind, che apre la raccolta, è ancora soltanto abbozzata, composta solo di due strofe, ma non è l’unica "chicca" di questo straordinario insieme di perle rare: c’è una bellissima Masters of war registrata il 26 ottobre del 1963 alla Carnegie Hall di New York, c’è When the ship come in cantata da Dylan e Joan Baez alla marcia di Washington del 28 agosto del 1963, poco prima che Martin Luther King aprisse il suo discorso con le parole I have a dream. Ci sono le prime esibizioni in Inghilterra nel 1964 e quelle del maggio del 1966, quando con gli Hawks (che di lì a poco sarebbero diventati The Band) aveva "attaccato la spina", era diventato elettrico e scatenava l’ira dei puristi del folk. I brani che hanno fatto la storia sono tanti, da It’s all over now a Desolation row, da The times they are a- changing a It ain’t me babe, ma l’album è costruito come un avvincente racconto cronologico e permette di seguire la crescita del ventenne Dylan, da piccolo folksinger a portavoce di una generazione, in soli due anni, l’arricchirsi della sua musica, il poetico complicarsi dei suoi testi, le molte voci diverse con le quali interpreta sentimenti e passioni, visioni e storie, dal 1962 al 1966. Dopo questi concerti Dylan scomparve dalle scene per venti mesi. Quando tornò in concerto nel 1968 il vecchio Dylan, quello raccontato da questo album, non c’era già più.

La Stampa 26.7.18
Prete sorpreso in auto con una bambina: arrestato. Il testimone: “Lei aveva i pantaloni giù”
Calenzano: a notare il sacerdote un residente, che poi ha chiamato i vicini: evitato il linciaggio. La Procura di Prato ha scelto per lui la misura degli arresti domiciliari


È stato sorpreso in auto con una bambina di 10 anni e ha rischiato il linciaggio. Dentro quella macchina un prete di 70 anni della provincia di Firenze, don Paolo Glaentzer, poi fermato dai carabinieri e portato in caserma. La Procura di Prato, che segue il caso, ha scelto per lui la misura degli arresti domiciliari.
Il testimone: “La bambina aveva i pantaloni abbassati’” 
L’episodio, secondo quanto ricostruito, è accaduto lunedì intorno alle 22,30 in un parcheggio dietro ad un supermercato di Calenzano. Un residente della zona ha notato i due in auto in una zona buia. Insieme al padre si è avvicinato alla macchina e, dopo avere visto la piccola con i pantaloni abbassati, ha aperto lo sportello e fatto uscire la bambina avvisando anche i vicini. “La piccola aveva i pantaloni e la maglietta tirati giù e noi - racconta l’uomo che è intervenuto - abbiamo bloccato il prete”. L’uomo smentisce le voci di parapiglia “nonostante tutti i vicini lo volessero linciare”. Sul posto anche sanitari del 118. Per la bambina, seguita da tempo dai servizi sociali, è stato disposto un sostegno psicologico.
Il prete si difende 
Il sacerdote arrestato, interrogato dai carabinieri e difeso dagli avvocati Filippo Bellegamba e Valeria Fontana, avrebbe dichiarato anche di intendere il suo rapporto con la bambina come una relazione affettiva, e che sarebbe stata sempre lei a prendere l’iniziativa. Gli episodi, più di uno, sarebbero avvenuti sempre nella sua auto, durante il tragitto tra la parrocchia e la casa della bambina, sua parrocchiana, a cui lui avrebbe dato assistenza vista la situazione disagiata della famiglia.
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Repubblica 26.7.18
Firenze
Trovato in auto con una bambina e don Paolo sfugge al linciaggio
di Laura Montanari e Luca Serranò


FIRENZE Ha capito tutto un vicino di casa: «Quella bambina che a tarda sera era chiusa in macchina col prete, mi ha insospettito». Così è andato a controllare e le ombre sono diventate una brutta storia. Calenzano, paese di confine tra Prato e Firenze. Il sacerdote è stato arrestato per violenza sessuale aggravata nei confronti di una bambina di 10 anni. Ha rischiato anche il linciaggio, l’altra notte, quando dai palazzi di quella periferia, in diversi sono scesi in strada. Paolo Glaentzer, 70 anni, romano, frate benedettino, in Toscana da tempo, sacerdote di una piccola e sperduta chiesa fra gli olivi della collina, è rimasto immobile, con la testa bassa dentro l’auto mentre la gente lo insultava e i carabinieri stavano per arrivare. Poi le lacrime e, più tardi, davanti al magistrato della procura di Prato, l’ammissione che non era la prima volta, c’erano stati altri tre o quattro approcci negli ultimi due o tre mesi. Sempre con la stessa bambina.
Il prete la conosce bene, l’ha vista nascere, la sera di lunedì ha cenato a casa di lei e i genitori. Succedeva spesso. La Procura gli ha concesso gli arresti domiciliari vista l’età, stamattina a Prato ci sarà l’udienza di convalida. « Era una relazione affettiva, ha preso lei l’iniziativa » , ha detto don Paolo lasciando di stucco gli inquirenti. La bambina e la sua famiglia sono da anni seguiti dagli assistenti sociali: « Che vergogna, mi fidavo di quel prete » si tormenta il padre della piccola.
Le indagini coordinate dal procuratore Giuseppe Nicolosi proseguono ora per definire i contorni di una vicenda che ha molti aspetti da chiarire: bisogna stabilire, per esempio, se altre giovani vittime siano finite nella rete di abusi, se qualcuno sapeva e ha taciuto. La bambina al momento è rimasta in famiglia ed è assistita da uno psicologo. « Avevamo capito da tempo che qualcosa non andava — raccontano alcuni vicini — in quella casa c’era un via vai di persone strane, avevamo anche segnalato la cosa». La curia di Firenze ha sospeso il sacerdote. I carabinieri hanno perquisito la canonica e sequestrato computer e cellulare. Secondo le prime informazioni, gli investigatori non avrebbero però trovato elementi utili alle indagini. Paolo Glaentzer, discendente di una nobile famiglia, capellanno di un misterioso ordine teutonico, è incardinato in una diocesi del Lazio e risulta formalmente ospite della curia fiorentina. In una nota quest’ultima, « esprimendo piena fiducia negli inquirenti » e vicinanza alla piccola, ha precisato che «non erano mai arrivate informazioni o segnali che potessero lasciare intuire condotte deplorevoli né tanto meno comportamenti penalmente rilevanti » . In passato la bambina, viste le condizioni di disagio della famiglia, era stata data in affido a un istituto, ma dopo un ricorso era tornata a vivere coi genitori.