Il Fatto 3.7.18
“La macchina è tutto: la sinistra non ha mai cambiato motore”
di Wanda Marra
Mauro Calise è docente di Scienza Politica all’università Federico II di Napoli
“Facciamo
una premessa. L’Italia è stata negli ultimi 25 anni il più importante
laboratorio di elaborazione partitica in Occidente. Sono nati tre
partiti diversi, tutti vincenti. Prima quello di Berlusconi, poi i
Cinque Stelle, poi la Lega di Salvini”. Mauro Calise, docente di Scienza
politica all’Università di Napoli Federico II, ha studiato negli ultimi
anni soprattutto la democrazia leaderistica, spesso osservandola a
partire dall’esperienza del centrosinistra. Oggi riconosce quasi tutti i
meriti agli altri.
Che cosa hanno in comune?
Sono degli
“eserciti di nuovo modello” e fondono tre variabili: comunicazione,
personalizzazione e organizzazione, innovandole profondamente tutte e
tre. Berlusconi aveva una sua leadership personale, ma, al tempo stesso,
grande capacità comunicativa e efficientissima struttura organizzativa.
Mediolanum e Publitalia erano l’ossatura del nuovo partito. I Cinque
Stelle hanno una straordinaria comunicazione con Grillo che per 5 anni è
leader assoluto e utilizzano la rete per un controllo verticistico di
tutta la struttura: la selezione del ceto politico, gli strumenti di
partecipazione, tutto avviene attraverso il server. È il centralismo
cybercratico. La Lega ha una struttura organizzativa territoriale
solida, ma era al 4%. Poi è arrivato un leader forte e un nuovo uso dei
social media, che si è innestato su un’impalcatura centralizzata, con un
ceto parlamentare collaudato e amministratori locali di qualità.
Mettendo il turbo di Facebook.
E il Pd?
Il Pd sta in un
altro secolo, ibernato. Per 20 anni, non ha fatto niente di tutto
questo. Non ha cambiato l’organizzazione, ha tentato di innovare un po’
la leadership, prima con Veltroni, poi con Renzi, che però sono stati
fagocitati dalle vecchie oligarchie. Sulla comunicazione, rispetto a
quello che hanno fatto Berlusconi, Salvini e Grillo, nemmeno un
balbettio.
Sta dicendo che il fallimento di Renzi non dipende da lui, ma dall’oligarchia del Pd?
Ha
ereditato un partito disastrato, non ha toccato nulla
dell’organizzazione e dunque ha finito di sfasciarlo. Non lo ha
innovato, lo ha solo conquistato. E questa è una colpa: il partito è
prima di tutto organizzazione, non solo leadership. Se non metti mano al
motore, è tutto finito.
Lei in passato ha difeso Renzi. Senza contare che la sua comunicazione per molto tempo è apparsa vincente. Ora come la vede?
In
una prima fase lui ha innovato leadership e comunicazione. Ma ha
pensato di poter fare a meno dell’organizzazione. C’è un’incultura del
partito a sinistra. Hanno vissuto di rendita, fino a quando non si è
esaurita.
Non crede ci sia l’assenza di un progetto politico chiaro? Che manchino le parole d’ordine, la base elettorale?
No.
Nel senso che il progetto politico è importante, ne possiamo discutere.
Ma non credo che sia fallimentare. È indebolito, questo è fuori
discussione. Per esempio, va bene riaprire i circoli, ma non serve a
niente se non li metti in rete, se non li fai vivere su Facebook, se non
ti inventi una infrastruttura telematica che metta insieme sociale e
virtuale. Com’è possibile che non ci sia un database dei due milioni di
votanti alle primarie? I vari notabili erano troppo occupati a farsi le
scarpe l’uno con l’altro. Casaleggio ha iniziato a lavorare sulla Rete
30 anni fa. Possibile che tutti questi soloni del Pd continuino a
discutere sul progetto politico un po’ più a destra, un po’ più a
sinistra, nel momento in cui i Cinque Stelle hanno detto “noi siamo post
ideologici”?
Sta dicendo che la destra e la sinistra non esistono più?
Certo
che esistono. Ma l’organizzazione è macchina. Devi mettere insieme una
grande infrastruttura che metta in Rete, con la erre maiuscola, circoli,
sindacati, associazioni. Vecchie assemblee e vecchie primarie, da sole,
non servono a niente. I temi sono importanti se riesci a farli
conoscere. Devono nascere da un’organizzazione o da un leader. Oggi nel
Pd non c’è nessuna delle due cose.
La politica resta solo leaderistica?
È
la realtà in tutto l’Occidente. Con Macron o Trump o Salvini o Grillo e
Di Maio. Il periodo migliore per il Pd è stato quando sembrava che
Renzi potesse diventare un grande leader. Poi si è scoperto che era un
po’ meno grande, quando ha pensato di fare a meno di sporcarsi le mani
con l’organizzazione. E così i vecchi notabili e l’oligarchia se lo sono
fatto fritto, friggendosi però anche loro.
Il Fronte di Calenda?
Un
rassemblement di benpensanti senza un leader. Con un’infrastruttura
solida ne riparliamo. Vi ricordate Montezemolo? Passera? Monti? Tutti
partiti in embrione che non sono andati da nessuna parte per mancanza di
organizzazione. Per me, discutere su “dentro” il Pd o “oltre il Pd”
sono parole al vento. Serve un motore nuovo.
Inutile che le chieda di Zingaretti, a questo punto.
Se
nel suo progetto associativo, ci mette dentro il turbo della Rete può
saldare passato e futuro. Altrimenti si fa un partito del 12%.
Renzi si deve togliere di mezzo?
È
l’ultimo dei problemi. Ma se la strada è continuare da solo, si farà un
partitino del 5 o 6% per sistemare un po’ di ceto politico e non
aiuterà né il Paese né la sinistra.
Che congresso servirebbe?
Un congresso di rifondazione organizzativa. E per farlo, devono iniziare a studiare. Altrimenti si va verso l’estinzione.