Repubblica 5.6.8
Il reportage
Sul confine blindato
Il filo spinato ungherese muro del sovranismo reale
Qui
i migranti vengono fermati e messi in container sorvegliati da
telecamere e agenti mentre Orbán si trasforma nel capo dell’onda nera
nell’Ue e la parola “ esule” è vietata
Bruxelles, per creare
voglia di un forte difensore», mi spiega Péter Márki-Zay, giovane
cristiano conservatore sindaco indipendente di Hódmezövásárhely. Assieme
al collega socialista László Botka, primo cittadino della splendida
Szeged a un passo dal confine blindato, lotta disperato per risuscitare
l’opposizione.
«L’Europa sottovaluta il pericolo, Orbán è nei
Popolari, ma tra corruzione, autoritarismo, patti d’acciaio con gli
oligarchi, campagne d’odio, è anticristiano e per la corruzione
meriterebbe la galera». Il premier, notano fonti occidentali, dopo la
trionfale rielezione ha scelto escalation della linea dura con le ong e
silenzio coi media stranieri, nemici con cui non serve vantare i
successi economici o la supervittoria elettorale. Silenzio, e censura:
l’Ungheria è l’unico paese dove la storia dell’uomo ragno sans papiers
africano fatto cittadino francese da Emmanuel Macron per aver salvato un
bambino è stata censurata.
Le pareti roventi dei container
silenziano urla, celano drammi umani. «Fanno entrare una persona al
giorno, hanno servizi igienici minimi, li fanno incontrare solo con noi
loro legali e sempre sotto scorta di due poliziotti», mi dice Timea
Kovács, coraggiosa avvocata che assiste i disperati. «All’inizio
volevano persino imporre a quei migranti musulmani di sfamarsi mangiando
maiale». Storie tremende: «Una donna che stava per partorire in
condizioni critiche è stata portata in ospedale all’ultimo, e rilasciata
già al quarto giorno», narra il pastore luterano Sandro Cserháty.
Dall’altra parte del confine, in fattorie serbe abbandonate, vivono
nutriti e soccorsi da ong e armata serba quelli che aspettano di
passare.
«Ci ho provato una ventina di volte, mi hanno sempre
respinto, alcuni di noi sono stati pestati, grazie ad Allah i medici
militari serbi e volontari tedeschi li hanno curati. Ho speso migliaia
di euro sognando un lavoro dignitoso, accetterò ciò che Allah serberà
per me», mormora col sorriso triste un trentacinquenne pachistano mentre
telecamere e commandos coi binocoli scrutano dalle torri della barriera
magiara.