martedì 5 giugno 2018

Repubblica 5.6.8
Il reportage
Sul confine blindato
Il filo spinato ungherese muro del sovranismo reale


Qui i migranti vengono fermati e messi in container sorvegliati da telecamere e agenti mentre Orbán si trasforma nel capo dell’onda nera nell’Ue e la parola “ esule” è vietata
Bruxelles, per creare voglia di un forte difensore», mi spiega Péter Márki-Zay, giovane cristiano conservatore sindaco indipendente di Hódmezövásárhely. Assieme al collega socialista László Botka, primo cittadino della splendida Szeged a un passo dal confine blindato, lotta disperato per risuscitare l’opposizione.
«L’Europa sottovaluta il pericolo, Orbán è nei Popolari, ma tra corruzione, autoritarismo, patti d’acciaio con gli oligarchi, campagne d’odio, è anticristiano e per la corruzione meriterebbe la galera». Il premier, notano fonti occidentali, dopo la trionfale rielezione ha scelto escalation della linea dura con le ong e silenzio coi media stranieri, nemici con cui non serve vantare i successi economici o la supervittoria elettorale. Silenzio, e censura: l’Ungheria è l’unico paese dove la storia dell’uomo ragno sans papiers africano fatto cittadino francese da Emmanuel Macron per aver salvato un bambino è stata censurata.
Le pareti roventi dei container silenziano urla, celano drammi umani. «Fanno entrare una persona al giorno, hanno servizi igienici minimi, li fanno incontrare solo con noi loro legali e sempre sotto scorta di due poliziotti», mi dice Timea Kovács, coraggiosa avvocata che assiste i disperati. «All’inizio volevano persino imporre a quei migranti musulmani di sfamarsi mangiando maiale». Storie tremende: «Una donna che stava per partorire in condizioni critiche è stata portata in ospedale all’ultimo, e rilasciata già al quarto giorno», narra il pastore luterano Sandro Cserháty. Dall’altra parte del confine, in fattorie serbe abbandonate, vivono nutriti e soccorsi da ong e armata serba quelli che aspettano di passare.
«Ci ho provato una ventina di volte, mi hanno sempre respinto, alcuni di noi sono stati pestati, grazie ad Allah i medici militari serbi e volontari tedeschi li hanno curati. Ho speso migliaia di euro sognando un lavoro dignitoso, accetterò ciò che Allah serberà per me», mormora col sorriso triste un trentacinquenne pachistano mentre telecamere e commandos coi binocoli scrutano dalle torri della barriera magiara.