mercoledì 27 giugno 2018

Repubblica 27.6.18
Intervista a Carlo Lucarelli
«La Sinistra ha perso tutte le parole E la paura va ascoltata»
di Michele Smargiassi

La paura si costruisce, parola di grande giallista. «Ma è troppo facile dare la colpa alle parole della paura. Se la gente non ti vota più, il problema sei tu, che hai perso le tue parole». A Imola Carlo Lucarelli è affezionato, non solo perché vive a Mordano, pochi chilometri giù nella calda piana padana. Qui ha mosso i suoi primi passi da scrittore, qui ha lavorato come giornalista di cronaca nera. Alla candidata del centrosinistra si era offerto come consulente volontario per i problemi della sicurezza.
Ma il bastione rosso è crollato.
La sua reazione, Lucarelli?
«Molto dispiaciuto. Ma non disperato. Dovremmo imparare a non nasconderci dietro reazioni irrazionali.
Imola è stata amministrata bene, pensavo potesse continuare e migliorare, Carmen Cappello sarebbe stata un buon sindaco civico. Ma non è salito al potere il Terzo Reich.
Gli imolesi sono ancora gli stessi, hanno scelto amministratori diversi, bisogna semmai chiedersi perché lo hanno fatto».
Che cosa succederà a Imola?
«Non credo nulla di tanto diverso da quello che successe a Bologna con Guazzaloca. Una democrazia deve prevedere il ricambio. Bologna sopravvisse, poi cambiò ancora. Chi governerà Imola troverà una città solida, ben gestita. E gli imolesi in fondo sono gli stessi che votavano Pd… C’è una inerzia positiva delle città civili che può salvarci dagli stravolgimenti. Del resto, i Cinquestelle non sono la Lega».
Non la preoccupa la loro saldatura politica?
«Molto, soprattutto sul piano nazionale. Il timore è che i Cinquestelle si lascino sopraffare dalla Lega. Il governo dice e fa solo le cose della Lega, le cose dei Cinquestelle non le ho viste. Il rischio vero è questo, il prevalere dei disvalori della Lega oltre il suo vero peso».
Che cosa può far vincere quei disvalori?
«La costruzione della paura. E la risposta. Voglio dire, alla richiesta di più sicurezza notturna il nuovo sindaco propone dieci vigili in più: può essere una risposta sbagliata, ma sarebbe diverso se la risposta fosse il coprifuoco».
Lei è un esperto di costruzione della paura. Nei libri.
«Il meccanismo è uguale. Prima devi creare una sensazione di isolamento: buio, solitudine, abbandono. Poi arredi quel buio di rumori inquietanti. Poi fai “buh!”. E il panico non torna più indietro».
Siamo a questo punto?
«Io sono presidente di una associazione che lavora con le vittime della violenza. La gran parte del nostro sostegno va a persone che hanno subito aggressioni domestiche, bambini maltrattati. Una donna magari torna a casa di notte incolume, poi in salotto il marito la picchia… Ma quando la città comincia a sentirsi spaventata, dice “non possiamo uscire la notte”, la prima condizione è già in atto. La cosa peggiore che puoi fare è negare. La gente può avere paura di qualcosa che non esiste, ma la sua paura esiste».
La paura è di destra?
«La paura non è di destra né di sinistra. La risposta lo è. La paura non si insegue, ma si ascolta.
Devi dare l’altra risposta. Non c’è stata».
Quale poteva essere?
«Immaginiamo una situazione di paura. Notte, attraversi la strada troppo buia. Un tizio nell’ombra beve una birra, ha una faccia straniera. Non succede nulla, ma tu sei nel panico. La risposta della destra è la più semplice: hai ragione ad avere paura, quell’uomo è il tuo nemico. La risposta della sinistra, purtroppo, è complessa: chi è quell’uomo? Puoi conoscerlo? Puoi capire se è davvero una minaccia? Lo dico da giallista: a quel punto è più facile far arrivare la polizia. Ma la politica non può funzionare come un libro giallo».
In una lettera aperta, lei ha rimproverato alla sinistra di aver perso le parole per descrivere la realtà, addirittura per capirla.
“Pioveva e uscivamo in maglietta”.
«La destra ha saputo trovare slogan micidiali per le sue semplificazioni: “è finita la pacchia”, o “portateli a casa vostra”. Del resto il fascismo fu un grande inventore di slogan.
Ma anche la sinistra aveva parole d’ordine semplici, “pane” e “lavoro”… Non ha saputo cambiarle. Adeguarle. Che cosa è il “pane” per un lavoratore precario? La “pacchia” è una espressione assurda, ma per far capire che lo è devi raccontare un’altra storia, una storia migliore. “Antifascismo” è stata una parola fantastica, poteva essere il collante di un paese intero. Hanno messo quella parola su un altare, intoccabile, come le parole sacre che si possono dire solo in chiesa, e alla fine gli antifascisti hanno avuto paura a usarla, perché faceva vecchio partigiano e i moderati non ti votavano, l’hanno lasciata invecchiare senza adeguarla ai tempi. Ma quello che fai con le parole lo fai con la realtà».
Ovvero?
«Prenda questa terra, l’Emilia, la mia terra. La “roccaforte rossa”… Com’è sbagliata anche questa parola, che danni ha fatto, che idea di chiusura ha dato. Siamo sempre stati certi che non si poteva tornare indietro, che certi valori non potevano cambiare. C’è qualcosa di vero.
Se metto seduti qui davanti uno che ha votato Lega, uno che ha votato Cinquestelle, e discutiamo, forse ci ritroviamo e condividiamo molte cose. Del resto, magari quei due avevano votato Pci. Se sono le stesse persone, perché l’hanno fatto? Ti rispondono: perché non mi ascoltavano. Erano presuntuosi.
Erano inefficienti. Erano antipatici. Cerchiamo di non evitare queste risposte scomode, anche se è più comodo dare colpa alla gente che “va a destra” chissà perché».
Prodi dice che il Pd, neanche il Padreterno lo salverà…
«Forse siamo davvero allo zero.
Anche se ci sono ancora leader che mi piacciono, penso che se faranno tutti un passo indietro sarà meglio. Se la gente ce l’ha con te, sei tu che non vai. Ci saranno pure dei giovani che sanno scegliere parole efficaci per riattivare i valori di libertà e solidarietà».
Sempre che quei valori abbiano ancora valore per qualcuno.
«Io non credo che gli italiani abbiano barattato la libertà per la sicurezza. Certo, si può scivolare in una dittatura passo dopo passo, ma nulla è inevitabile e siamo ancora prima del crinale.
Se davvero quei valori fossero evaporati, ce ne saremmo già accorti. Non potremmo neppure fare questa intervista. Siamo ancora in tempo».