lunedì 25 giugno 2018

Repubblica 25.6.18
Il buio a sinistra
di Stefano Folli


In una calda domenica d’estate segnata dal disinteresse di circa il 53 per cento degli elettori che hanno preferito andare al mare, il dato politico è uno: la sconfitta del Partito democratico. Si dirà che era attesa dopo il primo turno e tuttavia nella notte ha assunto proporzioni impreviste. In pratica la vecchia tradizione della Toscana “rossa” non esiste più: Pisa, Siena, Massa saranno governate da giunte di destra. E altrove non è meglio, salvo le eccezioni di Ancona, Brindisi, Teramo, del comune litoraneo di Fiumicino, dei municipi romani. Troppo poco per autorizzare anche solo un minimo di ottimismo. È buio pesto per un centrosinistra che non ha mai superato il trauma del 4 marzo e che è palesemente incapace di fronteggiare gli eventi. Sa solo scagliarsi a parole contro il fronte populista, ma senza elaborare una seria analisi circa le ragioni per cui l’Italia, un tempo il paese più europeista del continente, abbia dato una maggioranza schiacciante ai “sovranisti” euro-scettici, creando un laboratorio politico che sfugge a ogni paragone e non ha precedenti. È un fallimento conclamato a cui il gruppo dirigente per ora non sa reagire.
La perdita delle città storiche è persino più grave della disfatta di marzo. Più grave perché intacca il rapporto antico con il territorio, anzi dimostra che una certa relazione sociale e culturale prima ancora che politica non esiste più. Né la destra oggi a guida leghista quasi ovunque (fa eccezione Imperia che si affida a Claudio Scajola e alla sua lista civica), né i Cinque Stelle che tutto sommato reggono la scena tranne che nei municipi della Capitale, vengono da Marte o si qualificano come i nuovi invasori Hyksos. Gli uni e gli altri rappresentano invece il frutto di un drammatico declino del centrosinistra.
Senza dubbio tale declino è parte della sofferenza della sinistra quasi ovunque in Europa, ma sorprende che in Italia non sia mai cominciata una vera riflessione sulle cause, le responsabilità e — se ci sono — sulle vie d’uscita da una crisi che il voto amministrativo di ieri ha illustrato in tutta la sua vastità.
Anche perché la maggioranza giallo-verde è uscita dalle urne senza quello squilibrio a vantaggio della Lega che minerebbe il patto di governo. Nel complesso, come si è detto, sia la destra sovranista sia i Cinque Stelle hanno ottenuto dei successi relativi a macchia di leopardo, da nord a sud. È chiaro che le tensioni nel governo Conte esistono e probabilmente sono destinate ad accentuarsi. Ma il voto di ieri è lungi dal costituire un detonatore. Al tempo stesso la frattura in Europa sull’immigrazione ha creato un fatto nuovo che potrebbe portare al disgregarsi dell’Unione come l’abbiamo conosciuta. Il vertice informale di Bruxelles ha mostrato al mondo le linee di questa rottura incombente. Ovvio che il governo giallo-verde ha tutto l’interesse a procedere compatto in tali frangenti.
Si capisce allora come sia abbastanza fuori dalla realtà la speranza, coltivata da una parte del Pd, di un rovesciamento delle alleanze. Una grande operazione trasformista per cui i Cinque Stelle, o una larga parte di essi, abbandonano il destrorso Salvini per trovare rifugio in una nuova alleanza di governo. Il voto amministrativo non ha certo incoraggiato questa suggestione che sembra figlia di una frustrazione più che di un progetto lucido. Ancora una volta nel Pd, invece di porsi il problema di come ricostruire il centrosinistra, magari accantonando una sigla e dei contenuti ormai logori, si accarezza l’idea di una scorciatoia per tornare al potere grazie a una manovra parlamentare. Ma se il centrosinistra vorrà rientrare in gioco, dovrà prima adattarsi a una lunga marcia in mezzo alle intemperie.