Repubblica 23.6.18
L’Ue e il governo populista
Verso la resa dei conti
di Andrea Bonanni
Matteo
Salvini si tranquillizzi. «Nel giro di un anno si deciderà se esisterà
ancora un’Europa unita oppure no», ha dichiarato il leader leghista a
Der Spiegel.
Preoccupazione francamente mal riposta. Tra un anno
l’Europa, con tutte le sue pecche, esisterà ancora, che a Salvini
piaccia o meno. Quello che si deciderà, nei prossimi mesi, è se l’Italia
a guida populista continuerà a farne parte. Viste le premesse di queste
settimane, la risposta non appare scontata. Il ribaltamento della
prospettiva e la perdita del senso di realtà, tipici di alcune sindromi
psicotiche, sembrano essere un tratto caratteristico dell’infelice
esordio del governo a trazione leghista sulla scena europea.
Prima c’è stato il miserabile episodio dell’Aquarius.
Episodio
che, secondo Salvini e i suoi esegeti, era un colpo di genio politico
destinato a riaprire i giochi europei sulla questione dei migranti. Il
risultato è stato il totale isolamento dell’Italia e un’occasione d’oro
offerta alla Spagna per ridorare la propria immagine offuscata dalla
vicenda catalana.
Poi c’è stato l’annuncio dell’ « asse » tra il
medesimo Salvini e il suo collega tedesco Horst Seehofer, destinato a
cambiare le carte sul tavolo europeo. Il risultato è che Seehofer,
esponente della destra bavarese, ha deciso di chiudere le frontiere e
rimandare in Italia i migranti irregolari trovati sul suolo tedesco. Se
non lo ha ancora fatto, è perché Angela Merkel si è messa di mezzo a
rischio di far saltare la coalizione di governo in Germania. Ma certo
anche questo “ asse” italo- tedesco non si è dimostrato un gran successo
per l’Italia, giustificando le ironie di Macron.
Il risultato di
tanto attivismo italiano è stato la convocazione di un vertice europeo
straordinario domenica prossima a Bruxelles sui temi dell’immigrazione,
boicottato dai Paesi del Gruppo di Visegrád che sono i referenti
politici di Salvini. La bozza del comunicato finale, preparata da
Francia, Germania e Commissione, prevedeva che l’Italia si riprendesse
tutti i migranti irregolari che in questi anni ha lasciato partire per
il resto d’Europa violando le regole di Dublino. Alla fine il premier
Conte è riuscito in extremis a rinviare la conclusione, che però sarà
ripresentata al vertice formale di fine mese. E intanto Angela Merkel
prende atto che la Convenzione di Schengen è sostanzialmente morta, e
lancia l’idea di « accordi bilaterali o trilaterali » tra i Paesi
membri. Che ruolo pensa di ritagliarsi Salvini in questo quadro? Starà
con la Merkel, o con Orbán e Seehofer?
In poche settimane di “
cura Salvini” l’Italia è riuscita a collezionare una serie
impressionante di insuccessi europei sul dossier che sta più a cuore al
titolare dell’Interno. Il ministro Tria ha per ora evitato
l’accerchiamento del nostro Paese anche sul fronte dei conti pubblici.
Ma pure qui la resa dei conti è solo rinviata a settembre con la
presentazione del Def. Il problema è che, nel ribaltamento della realtà
che affligge questo governo, i populisti non sembrano rendersi conto che
la loro vittoria elettorale ha fatto scattare un campanello d’allarme
in tutta Europa. Al di là delle preoccupazioni oggettive per un governo
che prende in ostaggio i naufraghi dell’Aquarius e minaccia di non
rispettare gli obblighi di Dublino rifiutando di riprendersi i migranti
che ha registrato, al di là dei timori dei mercati per una coalizione
che ha messo in programma oltre cento miliardi di spese non coperte, la
cosa che fa più paura ai nostri vicini è proprio il contagio populista.
È
questa « la lebbra » di cui parla Macron. E se il presidente francese
usa toni insolitamente duri lo fa perché, da vero europeista, ha capito
che la politica europea è ormai indivisibile. La marea nera che ha
travolto l’Italia è la stessa che domani può travolgere la Francia o la
Germania. Del resto Angela Merkel sta mettendo a rischio il proprio
governo e il proprio futuro politico per tenere testa al populismo di
Seehofer.
Ovunque, in Europa, la classe politica democratica si
sta preparando alla resa dei conti con l’infezione ideologica che ha
ormai conquistato l’Italia. E mette da parte il guanto di velluto della
diplomazia per impugnare il bastone della lotta politica. Successe, del
resto, già negli anni Trenta del secolo scorso di fronte all’ondata
montante del fascismo che minacciava dall’interno le democrazie europee.
L’Italia si trovò isolata e sotto sanzioni. Allora le frontiere avevano
ancora un senso e non esisteva l’Unione europea. Oggi il cordone
sanitario che si sta stringendo contro l’infezione italiana rischia di
scattare con grande anticipo. Ma anche quella lezione della Storia, come
tutto ciò che attiene al principio di realtà, non sembra penetrare i
muri mentali dei populisti nostrani.