Il Fatto 23.6.18
Salvini ci fa orrore. Ma chi l’ha creato?
di Antonio Padellaro
Quando
tratta gli esseri umani come pacchi senza valore Matteo Salvini è una
vergogna, ma chi ha consentito al signor Paolo Di Donato “re dei
rifugiati di Benevento” le truffe sui centri di accoglienza, con i
migranti trattati come bestie mentre lui girava in Ferrari? Salvini?
Quando il leghista annuncia il censimento dei Rom, si ode chiaro e forte
il grugnito dell’homus salvinianum, che gli “zingari” li vorrebbe
cacciare tutti (e magari anche sopprimerli). Però non è stato certo
Salvini a permettere alla famiglia Casamonica di impadronirsi di interi
pezzi della periferia romana e di imperversare indisturbati fuori da
ogni legalità. Così ricchi e potenti da farsi beffe del ministro degli
Interni e del presidente della Regione Zingaretti andati l’altro giorno a
sequestrare una villa del clan.
Evento – leggiamo – festeggiato
dai Casamonicas nel villone accanto con uno scatenato piscina-party tra
libagioni, canti e schiamazzi. Salvini specula sul dolore per lucrare
nuovi consensi, ma lui al Viminale sicuramente non c’era quando negli
ultimi 15 anni in 34.361 (trentaquattromilatrecentosessantuno) sono
annegati nel Mediterraneo. Come da elenco pubblicato dal manifesto di
giovedì, documento che pesa come un gigantesco macigno tombale sulla
coscienza di noi tutti. Ma soprattutto dei tanti governanti, bravi e
buoni, italiani ed europei, che per 15 anni, salvo rare eccezioni, hanno
preferito girare la testa dall’altra parte. Lista che – come scrive il
quotidiano di Norma Rangeri – dovremmo tutti “provare a leggere ad alta
voce”. Ogni nome è una vita andata a fondo, nella stessa indifferenza di
un sasso gettato in acqua. Non udiremo mai, ringraziamo Iddio, i pianti
e le invocazioni di quegli uomini, di quelle donne, di quei bimbi: una
sola voce sarebbe sufficiente a farci impazzire.
No, non si può
più fingere che, in Italia, il pre-Salvini fosse quotidianamente
ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Così come frignare
giaculatorie su quanto siamo caduti in basso è intollerabile ipocrisia.
In basso c’eravamo già con i Buzzi e i Carminati, piacevolmente immersi
nei fondi per l’“accoglienza”.
Con i mercanti di schiavi, con le
paghe da fame, con le Ferrari frutto del latrocinio. Con le istituzioni
che hanno tollerato le baraccopoli perché “se vogliono vivere come
bestie, cazzi loro”. Con i nomadi nullatenenti e i rubinetti d’oro in
bagno. Forse che tutte le cooperative e le associazioni che lavorano per
l’accoglienza sono piene di farabutti? Certo che no: nella stragrande
maggioranza si tratta di persone che meritano gratitudine e sostegno.
Ed
è falso che i nomadi vivano tutti di accattonaggio e di usura. Certo,
la spinta a una maggiore integrazione dovrebbe venire dalle stesse
comunità (soprattutto per tutelare i minori spesso sottratti alla scuola
dell’obbligo). Colpirne alcuni per criminalizzarli tutti: così funziona
la collaudata semplificazione salvinista. Conseguenza riprovevole,
disgustosa ma inevitabile della politica vuota e declamatoria praticata
dai ministri dei i governi precedenti (con l’eccezione, purtroppo breve,
di Marco Minniti). Che hanno lasciato marcire e marcire e marcire i
problemi. Fino al punto d’aver generato nella testa di tante brave
persone un tumore dell’anima e una parola diventata urlo collettivo:
basta! A che serve deplorare il cinismo di Salvini se poi gli vanno
dietro dieci milioni di concittadini (e forse molti di più). Tutti
fascisti e razzisti?
Qualcuno dice: è un lavoro sporco ma qualcuno
deve pur farlo. Falso, perché il capo cattivista è ben felice di
sguazzare tra le folle che lo invocano come il santo patrono che
riscatta i penultimi dai presunti torti subiti dagli ultimi (prima gli
italiani). Il vendicatore che ricaccia in gola alla cosiddetta
sinistra-chic i belati sulla pietà che l’è morta mentre (così
l’immaginano) pasteggiano a champagne a Porto Rotondo. Vero, perché, in
quel lavoro sporco, Salvini non è neppure il peggio che poteva capitare.
In fondo, lui è uno sparafucile (con passato bamboccione) che non viene
certo dalla cancelleria del Reich. Matteo II è un raccoglitore di paure
che altri hanno seminato. È il sintomo della malattia, una febbre
virulenta che si può ancora curare. A patto di prendere atto della
devastazione creata dai non Salvini e di piantarla con i finti appelli
umanitari e con l’antifascismo da parata. Che va tenuto semmai di
riserva. Perché dopo i clown, quasi sempre tocca alle bestie feroci.