Corriere 23.6.18
Il divario che spinge a muoversi non si colmerà neanche tra 50 anni
In Europa redditi 11 volte maggioriche in Africa. Dove la popolazione cresce ancora
di Federico Fubini
In Europa redditi 11 volte maggiori che in Africa. Dove la popolazione cresce ancora
C’è
chi sceglie le offese e chi si tiene sul filo dell’ipocrisia. Chi parla
poco per apparire inflessibile e chi non resiste alla tentazione di
lanciarsi in lezioni. Forse solo il neo premier di Madrid Pedro Sánchez
mantiene il sangue freddo, finora evitando di cadere nelle provocazioni.
Ma nessuna differenza di stile è così marcata da camuffare il tratto
che accomuna i leader europei oggi: stanno fallendo, tutti. Di fronte
agli sbarchi dal Mediterraneo, ciascuno di loro è dominato dall’ansia di
eludere il problema delocalizzandolo al Paese vicino. Finché
quest’ultimo si rivolta, in un nuovo giro di ritorsioni.
Almeno in
pubblico, i governi europei non si sono neppure avvicinati a una
riflessione realistica sul problema com’è oggi e come sarà nei prossimi
anni. Non lo fanno, perché dovrebbero trarne conclusioni opposte alla
loro retorica: non hanno alcuna probabilità di governare questo fenomeno
senza cooperare in buona fede fra loro; alla lunga, ne hanno poche di
preservare per i loro stessi elettori la possibilità di viaggiare senza
ostacoli nel resto dell’Unione europea, se continuano a illudersi di
scaricare gli stranieri verso qualche Paese di là di un confine di
montagna o di fiume.
Eppure un’occhiata ai redditi e alla
demografia suggerisce il contrario. I migranti dall’Africa subsahariana
hanno solo iniziato la loro grande spinta verso Nord. Lo ha scritto di
recente Branko Milanovic della New York University, uno dei grandi
studiosi mondiali delle diseguaglianze: lo scarto di reddito medio per
abitante fra africani subsahariani e europei occidentali era di un
dollaro a sette nel 1970 ed è oggi di uno a undici in «dollari
internazionali». Significa che anche tenendo conto degli alimenti, degli
abiti o della superficie abitabile in più che un dollaro può comprare
in Gambia o Nigeria rispetto a Italia o Germania, noi europei in un anno
guadagniamo in media undici volte di più. Dunque un giovane africano
non si fa scoraggiare da una probabilità di meno del 2% di affogare al
largo della Libia. Si chiede Milanovic: «Un olandese che guadagna 50
mila euro l’anno sarebbe indifferente alla possibilità di guadagnare
mezzo milione in Nuova Zelanda?».
È sulla base di queste
differenze che il Corriere cerca di mostrare la natura del problema in
una proiezione (vedi grafico). Agli attuali tassi di crescita
dell’economia dell’Europa occidentale (2%) e dell’Africa subsahariana
(3,5), tra dieci anni noi europei guadagneremo in media dieci volte di
più, tra trent’anni oltre sette volte di più (come nel 1970) e tra mezzo
secolo guadagneremo 5,5 volte di più. Solo fra 40 anni i subsahariani
si avvicinano a una soglia di reddito medio alla quale stanno arrivando
oggi centinaia di milioni di cinesi. In altri termini, di fronte alla
speranza di moltiplicare per sette o per cinque il proprio reddito, nel
prossimo mezzo secolo milioni di giovani continueranno a cercare
l’Europa.
Anche perché la demografia non lascia dubbi. La
popolazione a Sud del Maghreb e del Mashreq oggi è di un miliardo e 50
milioni di persone ed ha raggiunto un tasso di crescita record del 2,64%
l’anno. Anche immaginando un rallentamento graduale delle nascite, sarà
triplicata a 2,9 miliardi tra mezzo secolo. Durante questo periodo gli
abitanti della Ue saranno rimasti mezzo miliardo: le proporzioni passano
da un europeo ogni due subsahariani a uno ogni 6, e molto di più se si
contano solo i giovani. Se poi l’Africa accelerasse a una crescita al 5%
l’anno, nel 2048 il reddito pro-capite europeo sarebbe sempre di quasi
cinque volte superiore. Questa è una spinta secolare di popolazione che
non sparirà con un divieto d’attracco a Pozzallo, un muro di barche
davanti alla Libia o un respingimento alla frontiera bavarese.
Non
resta che governarlo, se non lo si può cancellare dalla mappa del
mondo. Michael Clemens (Princeton e Iza) ha dimostrato che più aiuti
all’Africa servono solo se mirano rigorosamente a creare lavoro per i
giovani. Ma alla lunga sarà inevitabile fissare quote e settori di
fabbisogno di manodopera in Europa, quindi concedere visti selezionando
le persone nelle ambasciate Ue in Africa. Giovanni Peri dell’Università
di California a Devis ha dimostrato, conti alla mano, che un
immigrazione gestita così aumenta — non riduce — il reddito dei
lavoratori locali.