Il Fatto 23.6.18
Il pensiero di Rodotà salva la democrazia
di Ugo Mattei
Da
un anno Stefano Rodotà non è più con noi. Meglio, come ha detto Guido
Alpa, il più autorevole fra i suoi allievi aprendo un seminario in Suo
onore tenutosi mercoledì alla Sapienza, presente Carla, non è più qui
fisicamente, ma è più che mai presente con il suo pensiero ed il suo
magistero. Da quando è finito sono stati curati due suoi volumi postumi,
(uno dei quali Vivere la Democrazia, sarà presentato sempre alla sua
Alma Mater il prossimo 28 giugno), gli sono stati dedicati altri due
volumi, (uno del Suo amico e Giudice Federale Usa Guido Calabresi, ed
uno del sottoscritto con Alessandra Quarta), nonché convegni scientifici
a Torino, Roma e Cosenza.
Altri Suoi amici e compagni si sono
mobilitati per ricordarne il magistero. Magistratura Democratica è stata
infatti convenuta a Roma da Rita Sanlorenzo per discutere del suo
impatto sulla giurisprudenza, mentre la Fiom si riunirà, su iniziativa
di Gabriele Polo, per discutere delle battaglie di Stefano per i diritti
dei lavoratori il 29 giugno a Roma.
Da questo fervore di studi,
sono assenti le forze politiche. Da tempo Rodotà svolgeva la sua
attività politica, lontano dai partiti. Egli preferiva una politica
genuinamente democratica, fatta di prossimità ai movimenti sociali e
alle persone (aveva attraversato licei e luoghi occupati) e soprattutto
di orizzontalità e rispetto per le opininioni diverse dalle proprie, due
caratteristiche che sono completamente assenti negli attuali partiti,
malati di leaderismo e verticalità. Del resto, quale Partito potrebbe
onestamente dirsi portatore del messaggio di Stefano?
Certo non il
Pd i cui vertici e quadri lo tradirono, con variazioni dipendenti solo
dal tasso di ipocrisia individuale. Non L&U, che Stefano avrebbe
senza dubbio scoraggiato in quanto tentativo velleitario e verticale
volto a salvare lo scranno a qualche notabile della precedente
legislatura, per di più dimenticando di inserire “in ditta” la
fraternità, il solo valore giacobino davvero di sinistra che tanto gli
stava a cuore.
Né direi oggi il M5S, che pure cercò con onestà e
trasparenza di proporlo come Presidente della Repubblica ma che oggi è
alleato con una forza politica che a Stefano ha sempre fatto
semplicemente orrore. Eppure sono certo che gran parte della base di
questi tre soggetti politici appoggerebbe con entusiasmo un progetto
politico fondato sul Diritto di avere diritti, (dal titolo, mutuato da
Anna Arendt del più fortunato fra i suoi saggi poilitici). Dal
Referendum sull’acqua (2011) a quello costituzionale del 2016 si è
verificata un’immedesimazione fra la base elettorale dei partiti che ho
menzionato e Stefano Rodotà che costituisce un dato politico
importantissimo per chi cerca un cambiamento di egemonia nel sistema
politico.
Milioni di italiani autentici democratici disattesero le
indicazioni del Pd. Sono questi gli stessi elettori che da anni hanno
capito che il neoliberismo rappresenta un micidiale dispositivo di
sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente che ha trasformato la vita delle
democrazie occidentali in un barbaro tutti contro tutti irrispettoso di
ogni valore costituzionale.
Il diritto di avere diritti, i beni
comuni, il costituzionalismo dei bisogni, che Stefano ha reso prassi
nella sua straordinaria avventura civile, sono prima di tutto un
antidoto contro quel disastroso dispositivo di forza verso i deboli e
debolezza verso i forti che è la cifra della “politica” attuale. Il
pensiero di Stefano ha la forza di farsi oggi ideologia alternativa
capace di salvare la democrazia.