Repubblica 22.3.18
La tolleranza zero di Trump
Quei bimbi perduti al confine della vergogna
A El Paso tra le tende dei baby migranti divisi dai genitori: viaggio alla frontiera Usa-Messico
di Federico Rampini
EL
PASO ( TEXAS) È qui che la tolleranza zero di Donald Trump sugli
immigrati clandestini ha subito la sua prima disfatta. Gli avversari
l’hanno chiamata la sua Guantanamo dei bambini. Oppure la Katrina di
Trump, nel ricordo dell’uragano che devastò la Louisiana, la vergogna
che macchiò l’Amministrazione Bush per la sua indifferenza di fronte
alla tragedia. A queste tende “invisibili” che imprigionano bambini
tuttora separati dai genitori, si arriva viaggiando lungo il confine
Texas-Messico, quaranta minuti di autostrada da El Paso. Si costeggia
quella recinzione fortificata a perdita d’occhio che è già una barriera
insormontabile, ancor prima che Trump ci costruisca (se mai ci riuscirà)
il Muro dei suoi sogni. Si lascia l’autostrada I-10 all’ultimo
MacDonald con hamburger al guacamole, si esce a Fabens, si raggiunge
Turnillo dove c’è uno dei ponti internazionali di passaggio verso Ciudad
Juarez in Messico.
Le bandiere a stelle e strisce qui sono
affiancate dall’orgoglioso vessillo texano, la stella unica, Lone Star.
La temperatura oggi tocca i 42 gradi all’ombra. Siamo praticamente nel
deserto. Se volevano nascondere il campo dei bambini, hanno scelto bene.
In quest’area desolata e sperduta ora lo scandalo ha attratto il mondo
dei media, incontro altri reporter e fotografi venuti da Miami, dal New
Mexico, dalla Germania. Ma le tende della vergogna restano comunque
inaccessibili, centinaia di metri di deserto e tante barriere recintate
ci separano. Gli agenti della Border Patrol hanno ordini severi, ci
circondano e ripetono inflessibili: «Non potete avvicinarvi, niente foto
né video da qui».
Di rincalzo agli agenti federali ogni tanto
veniamo avvicinati da vigilantes privati con strane divise — il business
della lotta all’immigrazione clandestina ha la sua galassia dei
subappalti — anche loro impegnati a sorvegliarci. I colleghi delle
ricche tv americane hanno rubato immagini aeree grazie a elicotteri e
droni (720 dollari di affitto per mezz’ora di ripresa). È solo sfuggendo
nei cieli alla Border Patrol che si sono ottenute dall’alto le foto di
quei bimbi in fila, all’ingresso dalle tende. Poi un visitatore segreto
ha registrato e passato alla ong ProPublica i pianti e i singhiozzi, per
la separazione brutale dai genitori arrestati e deportati altrove.
L’attenzione
dei media ha aiutato almeno Rubén García, fondatore e direttore
dell’Annunciation House. La sede di questa istituzione la visito nel
centro di El Paso, è una decrepita palazzina di mattoni rossi, un
piccolo porto di transito dove incontro migranti dal Sudamerica,
dall’Asia e dall’Africa: salvo i bambini, tutti hanno il braccialetto
elettronico ai polsi o alle caviglie. Arriva perfino — scortato da
un’altra polizia privata dalla sigla misteriosa — un gruppo di
brasiliani del Minas Gerais, nel loro lungo e tortuoso itinerario hanno
scelto di tentare la fortuna con una domanda di asilo qui al confine di
El Paso.
Annunciation House fu creata nel 1976 da cattolici
ispanici, ammiratori di Martin Luther King. Offre assistenza e
consulenza legale ai migranti, li ospita mentre sono in transito verso
tribunali e centri d’accoglienza, mantiene fitti rapporti con
associazioni umanitarie dei paesi d’origine.
Oggi Rubén García
accompagna due famiglie di migranti nella traversata del ponte da Ciudad
Juarez a El Paso, scortato dai giornalisti e ripreso dalle telecamere. I
genitori portano dei cartelli. «Siamo richiedenti asilo.
Fuggiamo
dal nostro Paese per la paura e il pericolo». «Così è trasparente —
dice García — stanno seguendo le regole, rispettano la legge degli Stati
Uniti, vogliono entrare secondo le procedure per l’esame delle
richieste d’asilo».
Fino a pochi giorni fa, prima dello scandalo,
prima dell’arrivo dei media, non c’erano garanzie di sfuggire
all’arresto, né di evitare la separazione tra genitori e figli.
«Non
avevo mai visto nulla di simile — dice García — in quarant’anni e sotto
Amministrazioni di ogni colore, erano state tutte un po’ migliori di
questa».
Ora non si respira affatto un’atmosfera di vittoria,
malgrado la clamorosa retromarcia di Trump. Qui sul terreno, nel punto
di transito Messico-Usa più controverso per via delle tende dei bambini,
nessuno sembra sicuro che ci sia stata una vera svolta.
Certo il
presidente è stato sorpreso e sopraffatto dalla forza delle condanne, in
America e nel mondo. Ha dovuto rinnegare se stesso, ha firmato un
decreto esecutivo che impone di tenere unite le famiglie anche in caso
di arresto. Ma la formulazione dell’editto è piena di ambiguità, che non
sfuggono agli esperti di diritto né ai volontari dell’assistenza
umanitaria. Trump ribadisce tolleranza zero, quindi l’arresto senza
eccezioni per l’immigrazione clandestina.
Promette di non separare
più genitori e figli, ma non dice quale sarà il destino dei 2.300
minori già strappati dai genitori e reclusi in centri di detenzione come
le tende di Turnillo. Trump non ha affatto promesso che non metterà più
i bambini in gabbia: ha solo annunciato che in futuro saranno nelle
stesse gabbie dei genitori.
Ma esistono poche carceri attrezzate
per ospitare famiglie intere. E la legge — finché non viene riformata
dal Congresso — stabilisce che i minori non possano essere trattenuti
oltre i primi 20 giorni. Dove finiranno, se l’esame preliminare sui
genitori dura più a lungo?
Il clima politico qui a El Paso — isola
democratica dentro un Texas repubblicano — non è quello di New York o
Los Angeles. Ieri sono venuti a manifestare sindaci progressisti da
tante città americane, incluso il newyorchese Bill de Blasio. Anche loro
tenuti a debita distanza dalla Border Patrol, con divieto di
avvicinarsi alle tende dei bambini. Ma la “progressista” El Paso ha
bocciato in un referendum la costruzione di un nuovo ponte verso il
Messico, perché pensa che ce ne siano già fin troppi. La mia autista
Uber, Belinda, è ispanica ma da 23 anni non osa varcare la frontiera
«perché di là c’è troppa violenza, hanno dovuto perfino chiudere il Luna
Park di Ciudad Juarez per le sparatorie». Sul tema dei minori strappati
ai genitori alterna l’affetto («me ne prenderei qualcuno io») e la
diffidenza: «Se non vogliono che i loro figli finiscano in un carcere
americano, non devono attraversare la frontiera illegalmente, punto e
basta».
Di certo la tolleranza zero non ha avuto il risultato
principale che sperava Trump, quello su cui puntavano i suoi
collaboratori John Kelly (Chief of Staff), Jeff Sessions (ministro della
Giustizia), Kirstjen Nielsen (capa della Homeland Security). Doveva
esserci secondo loro un potente effetto-annuncio: il messaggio da far
pervenire ai Paesi d’origine, per dissuadere chi vuole tentare il
viaggio della speranza. Gli ultimi dati dell’Onu sono usciti proprio
ieri: gli Stati Uniti tra il 2016 e il 2017 cioè in piena
Amministrazione Trump hanno visto aumentare del 27% le richieste di
asilo. Con 331.700 richiedenti, sono di gran lunga il paese numero uno,
molto davanti alla Germania (198.300). E se fin qui a El Paso sono
arrivati perfino dei brasiliani dal Minas Gerais, vuol dire che le
filiere sono ben organizzate.
Il ruolo delle ong umanitarie sembra
impallidire di fronte a gruppi privati che sul business
dell’accoglienza hanno creato dei piccoli imperi. La Southwest Key di
Juan Sánchez domina gli appalti per i centri di accoglienza, grazie agli
ottimi rapporti con la destra repubblicana che governa il Texas. Il
giro d’affari di tutti questi business privati è stato stimato a 1,5
miliardi l’anno. Vi rientra anche il centro di accoglienza per minorenni
Shiloh Residential Treatment a Manvel, Texas, oggetto di una
dettagliata denuncia per l’abuso di psicofarmaci, imposti ad alcuni
minori senza assistenza medica.
La denuncia è stata presentata ad aprile ma i fatti cominciano nel periodo 2011-2014, durante l’Amministrazione Obama.