giovedì 21 giugno 2018

Repubblica 21.6.18
“La linea dura è una forma di pulizia etnica per un’America monocolore”
intervista a  Valeria Luiselli di Anna Lombardi


«Chiamiamo le cose con il loro nome: la stretta di Trump verso le famiglie di migranti è una forma di pulizia etnica. Quella che sogna il presidente è un’America di un solo colore». Valeria Luiselli, 34 anni, è la pluripremiata scrittrice messicana che ormai da più di 10 anni vive negli States. Autrice di saggi e romanzi, editorialista del New York Times, nel 2017 ha scritto il libro-inchiesta Dimmi come va a finire: raccontando storie di piccoli migranti incontrati nel tribunale di New York, dove lavora come interprete volontaria per un’associazione che si batte contro le espulsioni.
L’audio diffuso da ProPublica col pianto dei bimbi separati dalle loro mamme in un centro accoglienza in Texas sta sconvolgendo l’America...
«Da giorni non penso ad altro: sono appena passata davanti ad una scuola e sentendo le voci allegre dei bambini mi sono commossa.
Purtroppo in America i migranti sono i nuovi invisibili, sottoposti a trattamenti inumani.E sulla detenzione dei clandestini sta crescendo una sorta di industria»
Sta dicendo che qualcuno fa soldi sulla pelle dei bambini?
«I centri di detenzione, ma anche quelli di accoglienza come l’ex Walmart in Texas dove sono rinchiusi 2000 bambini, sono molto lucrativi: in mano ai privati, ricevono soldi da appalti statali.
Il principale appaltatore è proprio l’Ice, la polizia federale che si occupa di migranti. La cosa più sinistra è che sulla detenzione dei bambini si guadagna di più. Circa 42 dollari, rispetto ai 27 per il mantenimento di un adulto. In teoria perché hanno bisogno di più cura. La realtà è che sono posti terribili, mitigati solo dalla rara presenza di personale di buona volontà».
Lei lavora da tempo con bambini che rischiano di essere deportati. Cosa è cambiato nell’ultimo mese?
«Finora ho lavorato con bambini arrivati negli Stati Uniti da soli. Dal 2014 a ora, era quella la vera emergenza. Ricordo due bimbe guatemalteche di 5 e 7 anni entrate in America col numero della mamma cucito nel vestito: se c’era un familiare pronto a far da sponsor potevano sperare di essergli affidati. In realtà già Obama aveva reso le cose più difficili: accelerando per i bambini i tempi per la richiesta d’asilo e dunque dei rimpatri. Ma come si fa a chiedere a un bambino di 5 anni che ha attraversato da solo il confine se in patria la sua vita era a rischio? Non sanno nemmeno raccontarla la loro storia. Trump ha portato all’estremo le politiche di Obama. Ma i suoi giri di vite sono due. Una è appunto la brutale separazione delle famiglie di cui tutti stiamo parlando...»
E l’altro?
«L’altra è più sottile e per molti meno scandalosa. Ma a mio giudizio altrettanto pericoloso: finora le organizzazioni raccoglievano le storie dei bambini, mettendoli in contatto con i parenti, anche clandestini. Ora sono obbligati a passare tutte le informazioni all’Ice.
In pratica fornendo nomi e indirizzi di persone da arrestare: mettendo i bimbi nell’involontaria condizione di denunciare i familiari».
I bambini con cui lei ha parlato: come immaginavano l’America? E come vivono la realtà che poi trovano?
«Spesso sono consapevoli di arrivare in un paese che non li tratterà bene.
Sanno che saranno discriminati, che avranno difficoltà a scuola, che saranno cittadini di seconda classe.
Ma sanno anche che è meglio della situazione da cui fuggono. Molti teenager destano l’America: sono terrorizzati dalle gang come a casa, trovano lo stesso tipo di violenza. E di povertà»
Cosa succederà? Ora Trump ha annunciato la marcia indietro...
«Nessuno può dirlo. Non avevo mai visto nulla di simile in vita mia. Molta gente è indignata e ci sono cause in tutta l’America contro le detenzioni.
Quello che finora è stato messo in pratica non ha confini chiari: la stretta è stata portata avanti nelle pieghe della legge, senza confini chiari. Trump agisce in totale impunità. Da lui no, non mi aspetto nulla di buono».