Repubblica 21.6.18
Usa
La politica sull’immigrazione
Dal “no” di Obama a The Donald ecco com’è nato il muro dei bimbi
Julie Hirschfeld David e Michael D. Shear
WASHINGTON
Poco dopo l’insediamento di Donald Trump alla presidenza, il suo
governo mise al vaglio una misura considerata da anni fondamentale per
la lotta all’immigrazione clandestina negli USA. John F. Kelly,
all’epoca segretario alla sicurezza interna, nel marzo 2017 dichiarò
che, nel caso di famiglie arrestate nell’atto di entrare illegalmente
nel paese, i bambini sarebbero stati separati dai genitori «al fine di
scoraggiare ulteriori movimenti lungo questa rete terribilmente
pericolosa».
Da più di un decennio, benché gli ingressi
clandestini siano in generale diminuiti, di fronte alla recrudescenza
stagionale del fenomeno i presidenti americani di entrambi i partiti
politici sono stati spinti a studiare sistemi sempre più aggressivi per
scoraggiare i migranti a intraprendere il viaggio. Ma per George W. Bush
e Barack Obama, l’idea dei bambini in lacrime strappati dalle braccia
dei loro genitori era semplicemente disumana — nonché troppo rischiosa
politicamente — e lo stesso Trump, pur avendo fatto della lotta senza
quartiere all’immigrazione uno dei punti di forza della sua campagna, si
arrese a sua volta a quella realtà, bocciando pubblicamente la
strategia. Alcuni esponenti dell’amministrazione Trump però non hanno
mai rinunciato all’idea, a cominciare da Stephen Miller, consigliere
politico di Trump. Il mese scorso, a fronte di un’impennata di ingressi
clandestini, il presidente ha dato ordine di rinnovare gli sforzi per
perseguire penalmente chiunque attraversi il confine illegalmente.
«Nessuna nazione può praticare la politica di esimere intere classi di
individui dall’osservanza delle leggi sull’immigrazione e dalle pene
conseguenti» ha dichiarato Miller, nel corso di un’intervista la scorsa
settimana dal suo ufficio nell’Ala Ovest.
«L’amministrazione ha
semplicemente deciso di intraprendere una politica di tolleranza zero
rispetto agli ingressi clandestini, punto». Jeh C. Johnson, che in veste
di segretario per la Sicurezza interna è stato l’uomo di punta nella
lotta alla immigrazione clandestina dell’amministrazione Obama, sostiene
che la deterrenza in sé non costituisce una soluzione né pratica né a
lungo termine del problema. «È un film che ho già visto e ho
l’impressione che agendo così, con la politica di tolleranza zero e
separando genitori e figli come deterrente, stiamo sbattendo la testa
contro il muro», ha detto. E la sua tesi si basa sull’esperienza
concreta.
Quando, all’inizio del 2014, si registrò un picco di
migranti dal centro America, tra cui molti minori, il presidente Obama,
l’antitesi del suo impulsivo successore, reagì a modo suo, dando vita a
una gruppo interistituzionale alla Casa Bianca per decidere il da farsi.
I funzionari si incontravano nell’ufficio di Denis R.
McDonough,
il capo di gabinetto della Casa Bianca, e convocarono varie riunioni
nella Situation Room per vagliare le varie opzioni. «Le istituzioni
lasciavano emergere ogni possibile idea — ricorda Cecilia Muñoz, massimo
consigliere politico di Obama — compresa l’ipotesi di separare i
genitori dai figli». «Ricordo che ci siamo guardati in faccia come a
dire “Mica vorremo scegliere questa strada?”. Ci abbiamo riflettuto
cinque minuti e abbiamo concluso che era una pessima idea. L’etica era
chiara — è qualcosa che non ci appartiene». Fu Bush, che vantava
esperienza diretta di gestione del confine in veste di governatore del
Texas e aveva impostato la campagna presidenziale presentandosi come
“conservatore compassionevole”, a dare avvio all’approccio di
“tolleranza zero” nei confronti dell’immigrazione clandestina cui si
ispira la politica di Trump. Nel 2005, Bush lanciò lungo una parte del
confine del Texas l’Operazione Streamline, in base alla quale
l’immigrazione clandestina veniva classificata come reato penale,
incarcerando gli immigrati e accelerando le procedure giudiziarie per la
loro immediata deportazione.
L’iniziativa diede risultati e fu estesa ad altre aree di confine.
All’epoca tuttavia in genere erano previste eccezioni per gli adulti con a seguito figli piccoli, minorenni e persone malate.
Subito
dopo l’insediamento di Trump si avviò il dibattito sull’ipotesi di
applicare l’operazione Streamline a vasto raggio, in quasi totale
assenza delle limitazioni di cui sopra. Il dipartimento della Sicurezza
interna sperimentò la strategia senza darne comunicazione, durante
l’estate scorsa, in alcune zone del Texas. In privato Miller ha
dichiarato che il ripristino della “tolleranza zero” sarebbe stato un
potente strumento nell’ambito di un insieme molto limitato di strategie
per impedire ai migranti di attraversare in massa il confine.
In
aprile, dopo che il numero dei clandestini ha toccato l’apice, Miller è
stato determinante nella decisione di Trump di incrementare la politica
di tolleranza zero. Tecnicamente non esiste alcun atto
dell’amministrazione Trump che imponga di separare gli immigrati
clandestini dai loro figli. Ma la “politica della tolleranza zero”
derubrica l’immigrazione clandestina come reato penale, comportando
l’arresto degli irregolari. A quel punto i loro figli sono considerati
minori stranieri non accompagnati e vengono portati via. A differenza
dell’amministrazione Obama, il governo Trump considera tutti coloro che
hanno attraversato il confine senza autorizzazione passibili di azione
penale, anche quando si qualificano all’arresto come richiedenti asilo
che temono di tornare in patria, che abbiano o meno figli con sé.
«Avere
figli non rende immuni all’arresto e all’azione legale» ha dichiarato
il procuratore generale Jeff Sessions in un discorso giovedì a Fort
Wayne, Indiana.
Ha contribuito Katie Benner Traduzione di Emilia Benghi
© 2018 New York TImes News Service
Per
il dem e Bush jr separare genitori e figli era disumano e insostenibile
politicamente. Poi arrivò Stephen Miller consigliere di Trump