Repubblica 21.7.18
Giappone
Il videogioco che scaccia la depressione
di Cristian Martini Grimaldi
Tokyo,
Giappone. Un giapponese su 15 soffre di depressione, e solo uno su
quattro riceve adeguate cure mediche. Aiko Shimizu, fondatrice di Hikari
Lab, ha ideato perciò quella che potrebbe rivelarsi la soluzione adatta
a un paese popolato da gheimu otaku ( quei nerd che passano intere
giornate ai videogiochi): si tratta di una app di nome Sparx che oltre
allo svago “ somministra” un trattamento contro la depressione. La
proposta nasce alla fine degli anni 2000 in Nuova Zelanda per
contrastare l’alto tasso di suicidi tra gli adolescenti. Sparx non è
altro che un videogioco di ruolo ambientato in un mondo fantasy
medievale dove gli utenti man mano che affrontano ostacoli e sfide lungo
il percorso accumulano forze e poteri che l’app si impegna a convertire
in un’iniezione di fiducia in se stessi.
La soluzione ideale per
un paese dove ai personaggi di fantasia viene attribuito ogni sorta di
superpotere: ci sono mascotte create con la missione di aumentare il
traffico di utenti sulle linee di autobus. Qui esiste la convinzione che
un eroe immaginario abbia una capacità di persuasione più efficace di
una persona reale esperta e qualificata. Ad esempio nel primo livello
del gioco agli utenti viene chiesto di compiere profondi respiri:
semplice operazione che favorisce il rilassamento fisico e mentale, ma
in pochi la mettono in pratica nella vita concreta. Eppure se la prassi
viene incorporata come compito del proprio avatar i giocatori, in piena
trance ludica, seguono ciecamente le istruzioni.
La strategia del “
terapeuta tascabile” è quella di esternalizzare i sentimenti negativi (
i mostri sono sfere trasparenti da abbattere a classiche pistolettate) e
di conseguenza portare il paziente/giocatore a coscienza del fatto che
possono anche essere sconfitti. Rispetto alla versione neozelandese
quella giapponese produce avatar con occhioni tipici dei personaggi dei
manga, ma soprattutto è vietato il keigo, il freddo linguaggio della
cortesia nipponica, capace di gelare sul nascere qualunque trasporto
empatico. Quella sperimentata da Hikari Lab è una complessa soluzione
tecnologica che scaturisce però da una semplice constatazione: per un
cittadino del Sol Levante la sala d’aspetto di uno studio di consulenza
crea maggiore apprensione di quella di un dentista. Nella terra degli
oltre 20mila suicidi l’anno lo psicologo non figura come un alleato ma è
piuttosto è il whistleblower che mette a nudo il profondo malessere
nazionale.