Repubblica 20.6.18
L’educazione che salva
Grazie a te, mondo sono libera dal Padre
di Massimo Recalcati
Ogni
figlio è uno sforzo di poesia: confrontato ad una lingua che non ha
generato, ogni figlio ha il compito di rigenerare la sua vita come se
fosse una nuova lingua. Di questo sforzo, di questo “nuovo inizio”,
parla con grande intensità epica il romanzo autobiografico L’educazione
(Feltrinelli) di Tara Westover, qui alla sua prima — decisamente
convincente — prova letteraria.
Cresciuta nell’Idaho, in una valle
sperduta circondata da alte montagne e fitti boschi, Tara è stata
educata secondo i più rigidi canoni mormonici: niente medicine, niente
vaccini, niente libri, niente televisione, niente amici, niente patente,
niente telefono, nessun certificato di nascita («sapevo di essere nata a
fine settembre ed ogni anno sceglievo un giorno per il mio
compleanno»), ma, soprattutto, niente scuola. In primo piano — scolpita
con struggente forza tragica — la figura di un padre d’altri tempi che
crede di prolungare sulla terra la volontà di un Dio collerico e
vendicativo. Il suo delirio religioso è al centro della vita della
famiglia. Sempre impegnato come un Noè folle a costruire rifugi, ad
accumulare e ad inscatolare scorte, fucili e benzina, sacchi di grano e
fusti di miele per consentire alla sua famiglia di sopravvivere ad una
imminente catastrofe — i “Giorni dell’Abominio” —, questo padre incarna
una versione folle della Legge. I “socialisti”, gli “infedeli”, le “spie
degli Illuminati” popolano il mondo esterno rendendolo minaccioso.
Bisogna dunque barricarsi nella propria casa trasformata in una
fortezza. La famiglia è il Bene, il mondo è il Male. Ma la tragica
scoperta di Tara è che il diavolo non è fuori, ma dentro, che la
barbarie non è del mondo, ma di questo Dio inesistente e del suo
portavoce terreno che lancia maledizioni e predice sciagure. Il Male è
dentro non fuori. Il fratello Shawn — probabilmente un pericoloso
paranoico — le infligge violenze di ogni genere: le torce i polsi, la
soffoca, le infila la testa nel water o la schiaccia contro il
pavimento, la insulta («puttana, troia!»), la trascina per i capelli, la
minaccia con un coltello o — quando la sorella sarà finalmente
dall’altra parte del mondo — attraverso mail che assomigliano a
proiettili sparati da lontano. Il mondo degli uomini della famiglia
sembra polarizzarsi attorno a questi due estremi solo apparenti poiché
la devozione paterna per la Legge di Dio e l’esercizio brutale della
violenza del fratello, non sono in realtà che due facce della stessa
medaglia. Quando, infatti, non si lascia spazio all’eteros, quando non
c’è alcun rispetto per l’alterità, la vita diviene un inferno e la Legge
il luogo di un caos solo distruttivo.
La madre erborista e levatrice «sentiva l’energia calda che scorreva attraverso i nostri corpi».
La
sua visione omeopatica della medicina è il risultato di uno scambio
intimo con Dio: attraverso le sue mani e i suoi occhi è Dio che si
prende cura delle povere anime alle quali questa donna si dedica. La sua
posizione nei confronti del marito è quella di una obbedienza inerme.
Lo stesso vale per le violenze scatenate di continuo dal fratello
paranoico verso le figlie femmine.
La vita di Tara sembra
predestinata. Raccattare, trinciare e saldare rottami, lavorare nella
discarica, al fianco del padre e dei fratelli, con gli scarponi dalla
punta d’acciaio. Ma una vita non è solo, come credeva Freud, preda
passiva della sua infanzia. La narrazione di Tara Westover mostra che le
tracce traumatiche del proprio passato possono non smettere di
affliggere l’anima e il corpo, ma la vita del figlio ha sempre la
possibilità di dare una forma nuova alla propria storia.
Per
questo lo sforzo di poesia del figlio necessita di nutrirsi di un altro
ossigeno. Accade per Tara con l’incontro con la scuola. Il college prima
e l’università poi sono deviazioni impreviste nella sua vita di
predestinata; cambi di direzione che rendono possibile un nuovo poema. È
stato necessario un lungo e tragico apprendistato per fare esperienza
di un’altra lingua rispetto a quella (fondamentalista) della propria
famiglia. Grazie alla scuola può finalmente introdursi alla pluralità
sconosciuta e affascinante delle altre lingue.
Mentre per il padre
la scuola allontanava i bambini da Dio, per Tara è il luogo di una
ripartenza vitale. Di fronte al bivio che la separa dalle sue radici,
Tara non tentenna, ma assume con forza il proprio desiderio di
conoscenza anche se questo è osteggiato in tutti i modi dalla sua
famiglia: «Cosa deve fare una persona, mi chiedevo, quando i suoi doveri
verso la famiglia si scontrano con altri doveri — verso gli amici, la
società, verso se stessi?...Potete chiamare questa presa di coscienza in
molti modi.
Chiamatela trasformazione.
Metamorfosi. Slealtà. Tradimento. Io la chiamo educazione».
Nessuna
formazione può però avvenire cancellando il passato. Il processo di
soggettivazione implica sempre una ripresa in avanti di quello che si è
stati. Per questo Tara può riconoscere — al termine del suo tortuoso
cammino — che sono state le ore passate sulla scrivania di casa a
decifrare «piccoli frammenti di dottrina mormona» a farle acquisire la
«pazienza di studiare cose che non riuscivo a capire». Lo sforzo di
poesia del figlio lavora sempre sulle macerie, sui resti inceneriti
della lingua dei padri.