il manifesto 20.6.18
«Democrazia diretta», da Atene a Berlinguer
Lessico
politico. La democrazia consiliarista vuole il controllo continuo e
diretto degli elettori sugli eletti, e l’eventuale revoca del delegato
«infedele». Oggi anche si parla di mandato imperativo, ma lo si vorrebbe
applicare al parlamento di matrice liberaldemocratica, dove vige invece
il principio del parlamento specchio del paese, eletto da indistinti
«cittadini» (aspetti questi sui quali bisognerà tornare a proposito
della «democrazia parlamentare»)
di Guido Liguori
Si
fa un gran parlare di democrazia diretta, intendendo spesso la
consultazione via internet, una delle maggiori novità introdotte nel
panorama politico dal M5s. La democrazia diretta in realtà ha una storia
antica.Con tale espressione si è a lungo inteso un tipo di
pronunciamento espresso direttamente da soggetti riuniti in assemblea,
senza l’intermediazione di rappresentanti.
Sono state forme di
democrazia diretta l’assemblea («ecclesia») nella antica Atene,
l’assemblea dei cittadini nei comuni medievali, o la democrazia
teorizzata da Rousseau a partire dall’esempio (idealizzato) della sua
Ginevra. Una variante di crescente successo della democrazia diretta è
poi stata quella referendaria, adottata in Svizzera e poi introdotta in
numerosi paesi.
In epoca più recente, la democrazia diretta si
intreccia con la storia politica del «quarto stato». La Comune di Parigi
(1871) è il primo esempio di tentativo di autogoverno esercitato senza
l’elezione di parlamentari. Marx e poi Lenin la elevano a forma
esemplare del nuovo Stato proletario. I Soviet russi, nati nel 1905 e
risorti nel 1917, ne riprendono lo spirito, pur non disdegnando di
eleggere dei delegati.
Nella teorizzazione di Antonio Gramsci, il
più originale e importante teorico del consiliarismo dell’epoca, sono i
gruppi omogenei di operai a eleggono i propri delegati che formano il
«consiglio». Ma il principio della delega è qui molto diverso da quello
della democrazia parlamentare.
La democrazia consiliarista vuole
il controllo continuo e diretto degli elettori sugli eletti, e
l’eventuale revoca del delegato «infedele». Oggi anche si parla di
mandato imperativo, ma lo si vorrebbe applicare al parlamento di matrice
liberaldemocratica, dove vige invece il principio del parlamento
specchio del paese, eletto da indistinti «cittadini» (aspetti questi sui
quali bisognerà tornare a proposito della «democrazia parlamentare»).
Cosa
manca alla democrazia diretta via internet delle antiche e più solide
democrazie dirette? In una profetica intervista del 1984 Enrico
Berlinguer affermava: «La “democrazia elettronica” limitata ad alcuni
aspetti della vita associata dell’uomo può anche essere presa in
considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme
della vita democratica… Tra l’altro non credo che si potrà mai capire
cosa pensa davvero la gente se l’unica forma di espressione democratica
diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo lo ripeto: io credo
che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a
discutere, a riunirsi, ad associarsi».
Una convinzione troppo
ottimistica? Certo è più facile spingere un bottone seduti dietro il
proprio computer che partecipare e un’assemblea o a una riunione. Di cui
un forum via internet difficilmente però riesce a riprodurre la
ricchezza, lo scambio e l’arricchimento reciproco. Speriamo non sia,
quella odierna, una strada senza ritorno.