Repubblica 19.6.18
I migranti e la lotta di classe
di Massimo Riva
L’Unione
europea rischia seriamente di disgregarsi sotto la pressione delle
ondate migratorie dalle coste africane, che stanno innescando conflitti
fra Paesi e fra popoli tali da mettere a repentaglio quel disegno
unitario che tanta pace e benessere ha offerto agli europei dopo la loro
ultima guerra civile. Fratture incomponibili si stanno allargando fra i
diversi Stati della Ue, mentre al loro interno affiorano divisioni
profonde che scuotono equilibri politici di storica solidità: la
spaccatura fra Cdu e Csu in Germania ne è un esempio evidente, oltre che
temibile. Dinanzi a prospettive così fosche, occorre riflettere meglio
sulle radici di un fenomeno tanto minaccioso.
Per alcuni secoli —
in particolare tra Otto e Novecento — l’Europa si è arricchita a
dismisura, seppure in termini asimmetrici, spogliando l’Africa di tante
sue risorse, naturali e non. Ma senza fare nulla di serio e utile per
aiutare quei popoli a emanciparsi da un’originaria cultura di tipo
tribale.
Anzi, sfruttando questa loro condizione di debolezza
strutturale per tenere più bassi i costi dello sfruttamento.
Implacabile, come lo sono le leggi della fisica, ora la Storia sta
presentando il conto. Quello che gli europei non hanno dato loro, oggi
gli africani cercano di venire a prenderselo in Europa. Scosso dalla
perentorietà di questa aspirazione, il Vecchio Continente non riesce a
sua volta a emanciparsi dai vizi del buon tempo antico: ciascuno alza il
suo ponte levatoio nazionale puntando a chiudersi come una fortezza
sedicente inespugnabile.
È una fuga dalla realtà, fortemente
sospinta da avventurieri politici abili nel manipolare il consenso
impaurito di quei ceti, più deboli e numerosi, che nel vivere quotidiano
sono a più diretto e immediato contatto con l’impatto dei migranti. Ma,
nel tempo, anche dentro l’Europa vi sono stati sommovimenti sociali, in
quanto i benefici della spoliazione africana si sono distribuiti fra i
cittadini in modo anche più asimmetrico che fra i singoli Paesi.
Alcuni,
pochi, se ne sono giovati in abbondanza mentre ai ceti medi e bassi è
stata lasciata una quota minima, quella necessaria o comunque utile a
conservare la tenuta della coesione sociale. Non è certo un caso che i
governi più oltranzisti verso i migranti adottino un linguaggio e
politiche dalla sempre più evidente connotazione fascista. Dietro tutto
questo, infatti, si nasconde una vecchia conoscenza della Storia: la
lotta di classe.
Nel senso specifico, stavolta, di utilizzo dei
cittadini più esposti come scudi umani per una strategia mirata a
evitare che le classi dominanti siano costrette a rinunciare a posizioni
di rendita — nella divisione interna e internazionale del lavoro — che
si vorrebbero scolpite nel bronzo.
Indicare nel migrante il nemico
assoluto è funzionale al mascheramento delle crescenti diseguaglianze
domestiche. Il successo di questa operazione, tuttavia, resta insidiato
da una contraddizione alla lunga insanabile. Per un problema che ha
natura e dimensioni sovranazionali non potrà mai arrivare una soluzione
intergovernativa da parte di fortezze nazionali chiuse in sé stesse.
Tanto da far temere che il peggiore dei contagi che i disperati
dell’Africa possano causare sia la regressione politica dell’Europa a
livello tribale. I primi sintomi sono già visibili a Budapest, Vienna,
Varsavia, Monaco di Baviera.
Da ultimo anche a Roma.