martedì 19 giugno 2018

Repubblica 19.6.18
Destra e sinistra senza cultura
di Roberto Esposito


Ciò che fa del nuovo scenario italiano una preoccupante eccezione tra i Paesi dell’Europa occidentale è la simultanea mancanza di una vera cultura di destra e di un’autentica cultura di sinistra. È vero che il contratto da cui nasce il governo conteneva singoli pezzi in qualche modo riconducibili a orientamenti di destra e anche di sinistra.
Ma l’amalgama che ne è risultato, come i suoi primi atti, appaiono estranei sia a una tradizione liberal- conservatrice sia alla cultura politica del socialismo europeo.
I motivi di tale estraneità sono insieme antichi e recentissimi. Quanto a una destra repubblicana, si può dire che non si sia mai formata nell’Italia del dopoguerra. Impedita inizialmente dalla catastrofe fascista, è stata prima imbrigliata dalla lunga egemonia democristiana e poi geneticamente modificata dal berlusconismo.
Dopo il tentativo velocemente abortito di Fini, nessuno dei tre partiti che hanno successivamente stretto l’alleanza di centrodestra esprime un profilo riconducibile alla tradizione della destra europea. Non Forza Italia, sempre dipendente dagli umori ondivaghi del capo e divisa tra interessi e fazioni contrapposte; non Fratelli d’Italia, oscillante tra rigurgiti nazional- popolari e nostalgie postfasciste; e non la Lega, portata da Salvini a rovesciare l’originaria ispirazione separatista – dunque antinazionale – in un nazionalismo regressivo e aggressivo.
Quanto alla sinistra, l’impasse che la condanna all’immobilismo nasce al contrario dalla presenza, nei decenni passati, del più forte partito comunista europeo, ma impossibilitato a farsi forza di governo in Italia. Oltre che dalla diaspora di un partito socialista, travolto, nel momento in cui cominciava a guadagnare autonomia, dall’esplosione di Tangentopoli. Il Partito democratico, nato per superare questo doppio fallimento, ne ha portato fin dall’origine i segni. Pur nato da un’idea felice, esso a sua volta mancava l’obiettivo di unire in un insieme organico l’anima socialdemocratica e il cattolicesimo di sinistra. Il tentativo del gruppo dirigente renziano di uscire dallo stallo iscrivendo il Pd al Partito socialista europeo, senza cessare di guardare all’elettorato di centrodestra, è apparso subito contraddittorio. Proprio nel momento in cui ci si definiva socialisti, i contenuti di sinistra – dalla difesa del lavoro al rinnovamento della scuola, al sostegno al Meridione – si sbiadivano fino perdersi. La modalità suicida con cui si è tentata la riforma costituzionale è stato solo l’ultimo passo falso di una cultura politica fragile e immatura.
L’incrociarsi di questa doppia carenza tipicamente italiana – di una destra e di una sinistra veramente tali – con la generale deriva antipolitica in atto ha prodotto il “centauro” giallo-verde: un corpo populista con una testa xenofoba ed antieuropea. Qualcosa che è insieme meno e più di quanto ci si può aspettare da una destra “ normale”. Meno, perché priva dell’elemento liberale in genere presente nei partiti conservatori. E più, perché intrisa di un estremismo estraneo alle culture moderate. Non per nulla, le riforme della flat tax e dell’abolizione della legge Fornero, verificatesi rapidamente impossibili, hanno ceduto il passo al volto feroce dell’irrisione e della minaccia nei confronti dei più deboli.
Mentre le riforme “di sinistra” – come il reddito di cittadinanza – arretrano nell’agenda governativa. E l’opposizione? Sarebbe un errore contrapporre a questo amalgama populista uno assemblaggio di forze anche esse di ispirazione diversa. Quello che va finalmente aperto è un cantiere di sinistra che non abbia il timore di chiamarsi col proprio nome.