La Stampa 19.6.18
Commercio, ferrovie e appalti
Le mani di Erdogan in Africa
di Lorenzo Simoncelli
Dopo
Europa, Stati Uniti, India e Cina, la Turchia di Erdogan è l’ultima
grande potenza ad entrare a far parte del sempre più complesso
scacchiere politico-economico del Continente africano.
Il Sultano
d’Africa, come è già stato ribattezzato il presidente turco, ha visitato
negli ultimi anni 32 dei 54 Stati africani, ha quadruplicato il numero
di ambasciate passate da 12 nel 2009 a 44 nel 2018, insidiando Pechino e
Washington presenti in Africa con 50 missioni diplomatiche.
Lo
scambio commerciale è aumentato vertiginosamente negli ultimi 15 anni,
toccando quota 20 miliardi di dollari tra export e import. Nei cieli
africani la Turkish Airlines, vettore al 49% statale, ha battuto la
concorrenza delle grandi compagnie internazionali a suon di nuove rotte:
52 città africane in 34 diversi Stati, trasformando Istanbul nel più
grosso snodo di collegamento tra l’Africa e il resto del mondo.
La «gara»
Numeri
importanti che iniziano ad infastidire la Cina, ancora primo partner
commerciale dell’Africa con un volume di scambi pari a 180 miliardi di
dollari annui. Nonostante il ritardo nei confronti di Pechino, Erdogan
sta recuperando terreno soprattutto in Africa Orientale, la più vicina
alla Turchia culturalmente e geograficamente.
La Yapi Merkezi,
colosso edile turco, ha vinto l’appalto per la costruzione della linea
ferroviaria che collegherà Awash con Hara Gebeya, 4 mila chilometri di
binari che uniranno il Nord con il Centro dell’Etiopia, il Paese
africano che negli ultimi 10 anni ha ricevuto il maggior numero di
investimenti cinesi. Un’opera da quasi 2 miliardi di dollari soffiata
proprio ai colossi cinesi dell’edilizia. La ferrovia sarà sospesa a 150
metri di altezza e passerà attraverso 12 tunnel e 51 ponti e, nel 2020,
quando i lavori termineranno, l’Etiopia avrà garantito un prezioso
sbocco sul Mar Rosso dato che i vagoni arriveranno fino a Gibuti. Un
progetto che coinvolge 7200 lavoratori di cui 4600 sono etiopi.
Pochi
chilometri più a Sud, sempre la società edile Yapi Merkezi, ha messo a
segno un altro colpo vincendo l’appalto per la costruzione della
ferrovia che collegherà la capitale della Tanzania Dar Es Salaam con
Morogoro, località distante circa 200 chilometri. Investimento da 1,2
miliardi di dollari ottenuto anche in questo caso grazie ai
finanziamenti della Turkey Eximbank, la banca statale turca che
sovvenziona le opere pubbliche fuori dai confini nazionali.
L’alleato storico di Pechino
Giocando
la carta della fratellanza musulmana, vantaggio non da poco nei
confronti dei rivali cinesi, Erdogan è riuscito a scavalcare Pechino
anche nelle relazioni con il Sudan, storico alleato della Cina in
Africa. Il presidente sudanese Al-Bashir ha aperto ad Erdogan le porte
del Parlamento, ma soprattutto gli ha dato in concessione l’isola di
Suakin, ex luogo di passaggio dei pellegrini musulmani in viaggio verso
La Mecca e località strategica per il suo affaccio sul Mar Rosso.
L’espansione
turca in Africa, però, non conosce latitudini e culture, così il
Sultano d’Africa ha iniziato ad affacciarsi anche in Africa Occidentale e
Centrale. In Ghana, la Karadeniz Holding, società energetica turca, ha
soccorso il governo locale garantendo la distribuzione di energia
durante un prolungato blackout attraverso delle piattaforme ormeggiate
al largo del Golfo di Guinea: un esperimento senza precedenti di grande
successo. Per non parlare della Somalia, porta d’ingresso della Turchia
in Africa, e trasformata negli anni nella roccaforte ottomana in
territorio africano.
Erdogan, al contrario dei Paesi europei, non
si è fatto intimorire della minaccia jihadista di Al-Shabaab: ha
costruito un’enorme base militare, uno degli ospedali più efficienti
della regione e ha collegato Istanbul a Mogadiscio con un volo diretto
quotidiano.
Il legame religioso
La riduzione delle relazioni
commerciali con il Nord Africa a causa della guerra civile in Libia,
l’ostilità dell’Egitto con l’ascesa del generale Al-Sisi, la necessità
crescente di materie prime, hanno spinto Erdogan a rafforzare i legami
con l’Africa Sub-sahariana. Per limitare lo strapotere cinese e
incoraggiare gli Stati africani a voltare le spalle a Pechino, la
Turchia ha lanciato una nuova strategia che mira ad incrementare la
forza lavoro locale e a stabilire una connessione religiosa-culturale
che né i colonizzatori europei, né i cinesi sono stati in grado di
attuare a causa delle grandi differenze con le popolazioni locali. Per
questo motivo Erdogan sta investendo grandi capitali anche per
l’apertura di nuovi uffici in Africa della Tika (Cooperazione allo
Sviluppo turca), del centro culturale Yunus Emre e di scuole.