Repubblica 19.6.18
Leggi inapplicate
La rivoluzione biotestamento azzoppata dalla burocrazia
Impiegati
ignari, medici diffidenti, regole incerte: dopo 6 mesi la riforma non
decolla E a Roma “ il servizio è sospeso”. Ma un assist potrebbe
arrivare dai testimoni di Geova
di Alessandro Cassinis
Al telefono l’impiegata dell’VIII municipio di Roma ha un tono imbarazzato. «Vuole presentare il testamento biologico?
Spiacente, non possiamo registrarlo, il servizio è sospeso». Solo lì? «No, in tutta Roma». E fino a quando? «Non lo sappiamo».
Sei
mesi dopo la storica approvazione in Parlamento, trappole, disservizi e
sentimenti ostili frenano la legge che ci consente di esprimere le
nostre volontà sulle cure e ci dà la libertà di rifiutare anche i
trattamenti salvavita. Dopo il clamore di un dibattito parlamentare che
su questo tema ha coinvolto tre legislature, una penombra inquietante è
calata sulla legge 219 del 22 dicembre 2017, “Norme in materia di
consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, entrata
in vigore il 31 gennaio.
Non è un caso che siano pochi i
testamenti biologici presentati finora: 958 a Milano, 125 a Torino, 22 a
Napoli, 9 a Palermo, 0 all’Aquila. A Roma non si sa.
Manca un
dato nazionale, ma è probabile che sia sotto quota 30mila, mentre i
soggetti potenzialmente interessati sono tutti i cittadini. Ogni anno
600mila italiani entrano nella terra incognita del fine vita.
Questo
non significa affatto che il lavoro parlamentare sia stato inutile,
come Matteo Salvini sentenziò con una freddura poi rettificata: «Mi
occupo dei vivi, non dei morti» (la Lega votò contro come Forza Italia, i
Cinque Stelle a favore con Pd e sinistra). La legge è una conquista
civile fondamentale, ma va accompagnata da una continua opera di
promozione e informazione. Non si è visto nemmeno uno spot. Il cittadino
si ritrova da solo in una corsa a ostacoli che pochi hanno il coraggio
di affrontare.
Primo passo: scrivere le disposizioni anticipate di
trattamento (Dat). Già, ma come? Quali terapie accettare o rifiutare?
In teoria una mano potrebbe venire dai medici di famiglia, che però sono
stati tagliati fuori dal testo approvato. «Un errore della legge, che
punta tutto sull’autodeterminazione del cittadino. Possiamo fare solo un
affiancamento volontaristico», dice Silvestro Scotti, segretario
nazionale della Fimmg, la loro federazione. E i Comuni? Fanno solo da
“archivio”, al massimo suggeriscono sottobanco di prendere spunto dai
fac-simile disponibili su internet: la Fondazione Umberto Veronesi
propone un modulo-guida, l’Associazione Luca Coscioni ne ha preparato
uno più articolato che è stato scaricato 17mila volte quest’anno e
35mila dal 2009. «Ma è solo una traccia, ciascuno è libero di scrivere
quello che vuole», avverte Filomena Gallo, portavoce dell’Associazione.
Anche lei ha sperimentato di persona il blocco delle registrazioni al
Comune di Roma. «Sono andata con le mie Dat al I municipio, mi hanno
rinviata di 15 giorni perché non è stato istituito il numero di
protocollo unico».
C’è dolo in tutto questo? «No, solo impreparazione e lentezza burocratica, a volte un eccesso di potere degli uffici».
L’Associazione,
ad ogni buon conto, ha preparato un modulo di querela contro i Comuni
inadempienti che è stato scaricato 113 volte da marzo.
Ogni
ufficio di stato civile si regola come vuole. Busta chiusa, busta
aperta. Dat già firmate o da firmare allo sportello. Una copia o più
copie. Il ministero dell’Interno, ancora sotto Minniti, ha chiarito in
una circolare che le Dat vanno presentate di persona nel Comune in cui
si risiede. Ma nulla ha detto, per esempio, sul fiduciario, la persona
che dovrebbe rappresentarmi se non fossi più in grado di far rispettare
le mie volontà. Non è facile scegliere quello giusto: un parente troppo
prossimo potrebbe sentirsi soverchiato dai sensi di colpa. Ma la legge
ci dà una mano: “Nel caso in cui le Dat non contengano l’indicazione del
fiduciario… mantengono efficacia...”
(articolo 4, comma 4). Per i Comuni, invece, il fiduciario è un’ossessione.
Comune di Genova, corso Torino 11, stanza 221.
L’impiegata
mi guarda perplessa. «Dov’è il suo fiduciario?». Per fortuna ho con me
il testo della legge: dice che il fiduciario può accettare la nomina
“con atto successivo”.
«Noi non prendiamo le sue Dat se non c’è il fiduciario». Ma la legge… «Qui è così». E se non volessi indicare un fiduciario?
«Impossibile». Ma la legge dice… La pazienza è finita.
L’impiegata
mi allunga un foglietto dove leggo che bisogna presentarsi “INSIEME AL
FIDUCIARIO”. «Queste sono le disposizioni, non posso perdere altro tempo
con lei».
Quattordici chilometri più a Est, nel piccolo Comune di
Sori, 4.200 abitanti, un impiegato che conosce la legge a memoria
prende in consegna la busta e stampa una ricevuta. Il fiduciario? «Non è
necessaria la sua presenza». La consegna viene trascritta a mano su un
registro protocollo al numero 2. Tutto a norma.
Genova non è
l’unica a strapazzare la legge. A Bologna il fiduciario non deve essere
presente, ma bisogna indicarlo all’atto della registrazione, altrimenti
«il programma non ci fa andare avanti», spiegano gentilmente all’Ufficio
relazioni con il pubblico in piazza Maggiore, dove le Dat vanno
consegnate in busta aperta e firmate davanti al funzionario.
A
Milano, invece, la Casa dei diritti avverte che le Dat vanno presentate
(in via Larga 12, stanza 140) già controfirmate dal fiduciario.
«Siamo
in attesa di risposte dal governo», ammette Graziano Pelizzaro, esperto
dell’Anusca, l’associazione degli ufficiali di stato civile. Dunque dal
nuovo ministro dell’Interno: Salvini.
Ma il problema più grave è
un altro: «Manca una banca dati nazionale». Nemmeno le Regioni che hanno
già varato il fascicolo sanitario elettronico sono attrezzate per
archiviare le Dat in modo digitale. Il Consiglio nazionale del notariato
ha la tecnologia necessaria per il registro nazionale dei testamenti
biologici, ma per renderlo operativo aspetta indicazioni del ministero
della Salute, che non commenta. E comunque non sappiamo quanti cittadini
siano andati dal notaio per fare le Dat.
La legge inciampa anche
là dove dovrebbe essere applicata: gli ospedali. «La maggiore resistenza
viene dai medici, e non sempre per motivi nobili», dice Michele
Gallucci, che dirige l’hospice dell’ospedale San Martino di Genova.
Quello delle terapie salvavita è un settore importante della spesa
sanitaria, e in teoria la legge lo mette in crisi. Parla di
«paternalismo ippocratico» Mario Riccio, l’anestesista che nel 2006
staccò il respiratore a Piergiorgio Welby ed è membro della Consulta di
Bioetica, che sostenne la battaglia di Beppino Englaro. «Il medico, che
anche prima della legge sospendeva le cure e praticava la sedazione
profonda continua, non vuole cedere o condividere con il paziente il
potere decisionale.
La persona malata è nelle sue mani, non comanda più».
Fra
tanti nemici e tanto caos, la legge 219 potrebbe ricevere un assist
insperato dai Testimoni di Geova, che in questi giorni hanno prenotato
appuntamenti negli uffici di stato civile di tutta Italia. Rifiuteranno
le trasfusioni di sangue come impone la loro fede. Christian Di Blasio,
il portavoce nazionale, conferma che sarà una carica: «Pensiamo che si
presenteranno tutti i 251mila battezzati, più una parte dei
simpatizzanti, che sono oltre mezzo milione». Solo a La Spezia le Dat
registrate potrebbero passare da 40 a 500. Il totale nazionale sarebbe
decuplicato.