martedì 19 giugno 2018

Repubblica 19.6.18
Se l’altro diventa malattia da estirpare
di Chiara Saraceno


I rom sono odiati e temuti più dei migranti. Li si disprezza quando vivono nei campi, ignorando che spesso non è una scelta ma una necessità per mancanza di alternative, rafforzata da politiche pubbliche che, nel migliore dei casi, sembrano ritenere che i “campi attrezzati” siano la soluzione abitativa più adatta a loro.
Si ignora che i camminanti sono una piccola minoranza e che la maggioranza dei rom e sinti sarebbe ben contenta di avere un tetto stabile sulla testa, acqua corrente per lavarsi, servizi igienici adeguati, un lavoro regolare. Ma si disprezzano e temono i rom anche quando “pretendono” una abitazione come tutti gli altri. Una indagine Istat di qualche anno fa rilevò che quasi il 70% degli intervistati non avrebbe voluto avere come vicino di casa un rom. Così che i rom e sinti che abitano in appartamenti e hanno un lavoro regolare evitano di dichiarare la propria appartenenza etnica, come se fosse un marchio vergognoso, da nascondere o negare. Una più recente indagine internazionale dell’Istituto Pew ha segnalato che, con l’82% di intervistati che esprime un’opinione negativa sui rom e sinti, l’Italia mostra il più alto tasso di antigitanismo tra i paesi industrializzati. Il ministro dell’Interno Salvini, più preoccupato di rafforzare la propria costituency che di costruire le condizioni per una società sicura perché giusta e rispettosa dei diritti di tutti, dopo la battaglia dei porti anti-immigrati ha deciso di agitare anche la bandiera della caccia ai rom, in una ennesima versione della “emergenza rom”, come se si trattasse di popolazioni comparse improvvisamente da non si sa dove, stranieri non solo o tanto perché di altri paesi, ma perché estranei “al popolo” italiano.
Quindi da respingere quando possibile perché anche stranieri dal punto di vista della cittadinanza e da chiudere in recinti, se “purtroppo”, italiani.
Questi ultimi, ha aggiunto con dispiacere, “dobbiamo tenerceli”. Come se non fossero cittadini come lui e chi vota per lui, con gli stessi diritti (e certamente non sottoponibili a censimento etnico). Diritti che come ministro degli Interni e vicepresidente del Consiglio deve proteggere e rappresentare, a partire dal diritto fondamentale ad avere una abitazione decente, con le stesse regole, criteri di priorità, che valgono per tutti. Non mi nascondo che ci possano essere problemi di integrazione ed anche di comportamenti impropri, come i matrimoni precoci, l’evasione scolastica, l’accattonaggio o i furti. Ma essi non sono condivisi da tutta la popolazione rom. Allo stesso tempo non possono che essere rafforzati da atteggiamenti, e politiche pubbliche, che continuano a trattare la popolazione rom come un corpo estraneo a quello non solo del “popolo” e dei cittadini, ma della stessa umanità. Se si continua a negare loro sia condizioni di vita decenti, sia la stessa capacità di apprezzarle.