Repubblica 16.6.18
Partito democratico
Scontro nel Pd sui conti i dipendenti sono in cassa Scatta la caccia ai morosi
Il
tesoriere Bonifazi presenta il bilancio chiuso con 500mila euro
d’avanzo Decreti ingiuntivi per 60 parlamentari, tra questi l’ex
presidente Grasso
di Maria Berlinguer
Roma Solo
il 1 giugno Maurizio Martina, il reggente del Pd, aveva lasciato di
sasso un dirigente dem di lungo corso, ammettendo di non sapere se nelle
esangui casse del Pd ci fossero liquidi per pagare il palco di Santi
Apostoli, allestito in piena crisi istituzionale in difesa della
Costituzione e di Sergio Mattarella. E pure, dopo la debacle del 2016
con un bilancio chiuso con 9 milioni e rotti di rosso grazie al
referendum, alle elezioni e alle spese per i dipendenti, il Pd a
sorpresa chiude in utile di oltre 500mila euro.
Il colpo di scena
si materializza ieri in direzione, quando Francesco Bonifazi, tesoriere
dem e renziano di ferro, presenta il prospetto dei conti 2017. Ad
ascoltarlo ci sono in tutto nove dirigenti. Del resto, la direzione
d’urgenza per discutere e approvare il bilancio è stata convocata solo
24 ore prima. Motivo per il quale alle 8.30, l’orario stabilito forse in
ricordo delle direzioni che il primo Renzi convocava alle 7 del
mattino, sono in pochi ad essere presenti: 4 della maggioranza e 5 della
minoranza che però si astengono al momento del voto. Ma tant’è, il
bilancio è approvato. Con 4 voti, Bonifazi incluso.
Come è stato
possibile chiudere in attivo e scongiurare, almeno per ora, il trasloco
del Nazareno, tremila metri quadrati a due passi da palazzo Chigi? La
casse del Pd erano in profondo rosso non solo per le elezioni e per la
fallimentare campagna referendaria ma anche per i mancati versamenti di
60 parlamentari, molti dei quali passati a Mdp, che non hanno versato i
1.500 euro mensili dovuti al partito. Dopo aver messo tutti i 180
dipendenti in cassa integrazione, 90 dei quali a zero ore, il tesoriere
Bonifazi ha scelto la linea dura contro i morosi. Facendo partire i
decreti ingiuntivi della magistratura per riscuotere il dovuto. «
Abbiamo cercato di ottenere il dovuto in modo amichevole ma, non essendo
riusciti a superare il muro di gomma che ci è stato opposto, abbiamo
deciso di rivolgerci al tribunale», spiegano dal Nazareno.
In cima
alla lista, manco a dirlo visto che è stato un caso che ha tenuto banco
in campagna elettorale, c’è l’ex presidente del Senato. Pietro Grasso,
eletto nel 2013 nelle file del Pd allora bersaniano, non ha mai versato i
1.500 euro. Dunque, secondo i conti di Bonifazi, deve restituire ai dem
ben 83mila euro e spicci. L’attuale leader di Leu liquida la questione
come una ritorsione da parte degli ex compagni di partito. E in ogni
caso non ha ancora ricevuto alcuna ingiunzione. La procedura, però, è
andata a segno in altri casi. Dieci, finora. È il caso dell’ex deputato
lettiano Marco Meloni che dovrà versare 10 mila euro di arretrati, di
Simona Valiante, 53 mila, di Guglielmo Vaccaro, 43 mila. Insomma, per
farla breve, i dem contano di ottenere un milione e 600mila euro di
arretrati. Da mettere, così garantiscono, in un fondo per i lavoratori.
E
già, perché al netto del bilancio in nero, la situazione non è affatto
florida. I 180 dipendenti resteranno in cassa integrazione almeno per
altri 12 mesi. Colpa di un partito sceso sotto la soglia del 20% che
dovrà fare a meno dei contributi di un terzo dei parlamentari. E anche
ai gruppi la situazione è assai critica. Delle 140 persone che
lavoravano con senatori e deputati ne sono rimaste solo 75, quasi tutte
assunte con contratti di solidarietà. Inoltre a tutti è stato garantito
lo stipendio solo fino a dicembre. Poi si vedrà. Ovviamente molto
dipenderà anche dal 2 per mille e da quanti contribuenti decideranno di
devolverlo al Pd.