Repubblica 14.6.18
Poche donne il cambiamento è rinviato
di Chiara Saraceno
Cinque
donne soltanto tra ben 45 tra viceministri e sottosegretari. Una
percentuale più bassa di quella già ridotta tra i ministri: 5 su 18.
Il
Parlamento con la percentuale di elette più alta da che le donne hanno
avuto il diritto di voto ha partorito uno dei governi più maschili (e
maschilisti). Persino le Pari opportunità e le Politiche per le famiglie
sono affidate a uomini, il che potrebbe essere accettabile solo se
significasse una condivisione di responsabilità a tutti i livelli, non
la proterva affermazione di un potere squilibrato.
Ce lo si poteva
aspettare, visto che nelle trattative di governo la scena è stata
dominata da maschi, con l’eccezione della silenziosa presenza di Giulia
Grillo, ora ministra della Salute.
Anche nel contratto di governo
le Pari opportunità non appaiono tra i temi rilevanti in un Paese che
pure avrebbe molto da fare in questo campo. E delle donne si parla solo
come potenziali madri e addette alla cura dei famigliari, mentre ci si
appresta a colpirle riformando la legge Fornero.
La famosa “quota
100”, infatti, sarà irraggiungibile per molte donne dalla carriera
lavorativa interrotta proprio a motivo delle loro responsabilità di
cura.
Ce lo si poteva aspettare, ma è sconcertante, vista non solo
la composizione del Parlamento, ma anche degli eletti del partito di
maggioranza nella coalizione di governo. Il M5S ha in Parlamento la più
alta percentuale di donne rispetto agli altri partiti, superando il Pd,
che nelle passate legislature deteneva il primato e ne faceva una
bandiera, salvo buttarla alle ortiche (con la complicità di alcune
donne) in questa tornata per salvaguardare più maschi possibile a fronte
di una sconfitta certa.
Il M5S ha anche una composizione
mediamente giovane e senza interessi consolidati, che ha fatto del
rinnovamento e della lotta contro “l’establishment” la sua battaglia.
Evidentemente
scalzare asimmetrie di genere nella gestione del potere non rientra nel
rinnovamento. E l’occupazione maschile dei posti che contano non
rientra “nell’establishment”. Del resto, anche la leadership del
Movimento è tutta rigorosamente maschile.
Nel 2016 l’Italia era il
Paese che aveva migliorato di più la propria posizione nell’indice di
uguaglianza di genere nella Ue, pur rimanendo a metà classifica.
Questo
risultato era dovuto a un forte aumento della partecipazione delle
donne al potere decisionale, in particolare in Parlamento, nel governo
(quello Renzi, con metà ministri donne) e nei consigli di
amministrazione delle società quotate in Borsa. Se l’indice venisse
ricalcolato oggi, temo che l’Italia tornerebbe indietro, senza che il
peggioramento in sede politica sia controbilanciato da miglioramenti in
altri campi, quali l’occupazione, le politiche di conciliazione
famiglia-lavoro, la violenza.
A fronte dei problemi nei rapporti
con l’Europa, delle migrazioni, della tenuta della nostra economia, la
presenza di donne al governo può apparire di secondaria importanza. In
effetti, nei governi Renzi e Gentiloni non abbiamo visto grandi
politiche a favore delle Pari opportunità. È prevalsa, tra le ministre,
la difesa della propria posizione e dei rapporti privilegiati con chi le
aveva scelte, rispetto alla definizione di un’agenda che consentisse il
consolidamento degli equilibri raggiunti e il miglioramento delle
condizioni per tutte, in tutti i settori. L’assenza di questa agenda e
di un discorso pubblico sulla necessità di superare le asimmetrie tra
uomini e donne, sia per una questione di giustizia (e fedeltà
costituzionale) sia perché è un prerequisito del benessere equo e
sostenibile, credo sia tra le ragioni per cui non solo oggi abbiamo
poche donne al governo. Abbiamo anche un governo che si basa sul
rancore, sull’opposizione tra loro e noi, con un programma che aggraverà
gli svantaggi di chi è già in difficoltà. Sono importanti i numeri, ma
soprattutto l’agenda.