mercoledì 13 giugno 2018

Repubblica 13.6.18
Nuovi business
La cannabis light dilaga nelle città ( e ora diventa doc)
Oltre 500 punti vendita già aperti Ecco perché non è considerata una droga
di Michele Bocci


Come fosse un vino, oppure un formaggio tipico. La cannabis light avrà presto la sua “doc”, un disciplinare di produzione. Si decreta così definitivamente il successo commerciale di un prodotto che in Italia è disponibile da appena un anno, ma che sta segnando un boom di vendite inatteso. Nei prossimi giorni i rappresentanti delle aziende agricole, come Cia, Confagricoltura e Federcanapa (ma si sta cercando di coinvolgere anche Coldiretti) approveranno le regole per la coltivazione. È un po’ quello che avvenne anni fa per il biologico: ci si dà una disciplina per certificare al consumatore la qualità e sicurezza del prodotto. Nel testo, redatto dall’avvocato Giacomo Bulleri di Livorno, sono indicate le modalità di coltivazione e di semina, ma anche quelle di essiccazione. C’è poi il divieto di usare pesticidi e altri prodotti che potrebbero essere dannosi.
L’Italia ha scoperto nel maggio del 2017 la cannabis “light”. Oggi la producono 250 aziende e il prossimo autunno, con il nuovo raccolto, ce ne saranno 800 in più. Gli ettari coltivati saliranno probabilmente a 5.000 e il dato sul giro d’affari, basato su una stima di 44 milioni per il 2017, appare già vecchio e troppo basso. Nel nostro Paese ci sono 500 “growshop” specializzati che la commercializzano ma la cannabis “light” è disponibile anche in tabaccherie, erboristerie e parafarmacie. Sbarcherà pure nelle edicole, visto che la rivista “The Botanist” allegherà un grammo al prossimo numero in 20 città italiane (tra le altre Palermo, Napoli, Brescia, Parma, Milano, Bologna, Torino, Udine).
A inventarsi il prodotto è stata la società Easyjoint di Parma, che lo ha presentato l’anno scorso alla fiera “Indica sativa trade” di Casalecchio di Reno (Bologna).
Dopo avere per anni venduto semi e sistemi per la coltivazione, i soci, Luca Marola e Leonardo Brunzini, hanno avuto l’intuizione. All’inizio in magazzino aveva 30 chili di prodotto, oggi si stima che in Italia ne siano state lavorate 25 tonnellate. La svolta è arrivata grazie alla legge quadro sulla canapa, in vigore dal gennaio 2017. Ha semplificato le regole per la coltivazione di questa pianta per la produzione di tessuti, cosmetici, alimenti, bioplastiche. I fiori non erano citati e quindi inizialmente gli agricoltori li buttavano. Easyjoint ha chiesto di comprarli per poi commercializzarli. I tipi di canapa utilizzati in questo campo sono a basso contenuto di thc (tetraidrocannabinolo), cioè la sostanza psicotropa della marijuana. Il principio attivo rappresenta infatti lo 0,2% del peso e per la legge ci si trova di fronte a una droga quando il dato supera lo 0,6% (e nelle piazze gli spacciatori vendono marijuana con il 10 o anche il 30% di thc).
Nella cannabis “light” c’è però un’altra sostanza, non considerata dalla legge uno stupefacente, cioè il cannabidiolo (cbd). È questo principio attivo dagli effetti rilassanti ad aver decretato il successo della “maria” che non sballa. «Al limite i danni alla salute li può provocare la combustione — dice Roberta Pacifici, responsabile dell’osservatorio droge dell’Istituto superiore di sanità — ma gli effetti stupefacenti non ci sono assolutamente. Però preoccupa un po’ il cbd. In alcuni campioni sequestrati ai negozi ne abbiamo trovato il 40%. È un rilassante, bisogna ad esempio fare attenzione a mettersi alla guida dopo averlo assunto».
Easyjoint e le tante aziende ora sul mercato di solito non indicano la combustione come sistema di consumo, anche se molti fumano la marijuana che non sballa con il tabacco, preparandosi una simil-canna.
Altri la assumono con tisane e decotti, oppure usando vaporizzatori che funzionano come le sigarette elettroniche. I clienti tipici spesso vengono dalla marijuana illegale, che magari assumevano saltuariamente.
Sono passati alla “light” e chi la produce sta preparando una “doc” tutta per loro.