Repubblica 126.18
Il futuro dell’Unione
L’inerzia di Macron e Merkel
di Thomas Piketty
Mentre
in Italia e in Spagna la crisi politica si aggrava, la Francia e la
Germania continuano a dimostrarsi incapaci di formulare proposte precise
e ambiziose per la riforma dell’Europa. Eppure basterebbe che questi
quattro Paesi, che da soli rappresentano i tre quarti del Pil e della
popolazione della zona euro, si mettessero d’accordo su una base comune
per sbloccare la situazione. Come spiegare un’inerzia simile, e perché è
così grave?
In Francia, la teoria in voga è che sia tutta colpa
degli altri. Il nostro giovane e dinamico presidente non ha forse
avanzato delle meravigliose proposte sulla rifondazione della zona euro,
il suo bilancio e il suo Parlamento? Per sfortuna i nostri vicini non
riescono a rendersene conto e a rispondere con la stessa nostra audacia!
Il problema di questa teoria oziosa è che queste famose proposte
francesi molto semplicemente non esistono: nessuno è capace di mettere
in fila tre frasi che consentano di spiegare attraverso quali imposte
comuni sarà alimentato questo bilancio, quale sarà la composizione
dell’Assemblea della zona euro, chi eserciterà questa nuova sovranità
fiscale e così via. Chiedetelo pure al vostro amico macroniano
preferito, o se non ne avete — nessuno è perfetto — scrivete ai vostri
giornali preferiti!
E un po’ come se i rivoluzionari del 1789,
invece di formare un’Assemblea nazionale che permettesse di votare
immediatamente l’abolizione dei privilegi e l’istituzione di un nuovo
sistema fiscale, si fossero accontentati di annunciare che sarebbe stata
cosa buona prendersi il tempo di riflettere all’istituzione di una
commissione di riflessione finalizzata in prospettiva a salvare l’Ancien
Régime. È la differenza tra fare qualcosa e parlare a vanvera.
In
realtà le proposte francesi sono talmente vaghe che ci si può mettere
dentro tutto e il suo contrario. Ed è proprio questo il problema: tutti i
discorsi nazionalisti e antieuropei possono riversarcisi comodamente
dentro. È facile denunciare oggi la pavidità di Angela Merkel, e in
effetti la sua risposta alle « proposte francesi » è più che timorosa:
stando alle ultime notizie, direbbe sì a un budget della zona euro per
gli investimenti, ma a condizione che sia minuscolo (meno dell’ 1 per
cento del Pil dell’Eurozona).
Tutto ciò senza dire nulla,
naturalmente, sulle imposte comuni che dovrebbero finanziarlo (tanto che
si rischia seriamente di ritrovarsi a riciclare investimenti già
realizzati, a colpi di manipolazioni contabili, come con il piano
Juncker). E naturalmente senza proporre nulla sull’indispensabile
democratizzazione della zona euro. Si tratta semplicemente di
ribattezzare il Meccanismo europeo di stabilità in «Fondo monetario
europeo», cosa che esprime abbastanza chiaramente una visione
iperconservatrice: applicare al Governo dell’Europa il modello del Fmi,
vale a dire un Governo a porte chiuse, pilotato dai ministri
dell’Economia e dalla tecnostruttura. Agli antipodi del modello di
deliberazione parlamentare, pubblica, democratica e basata sul
contraddittorio, che dovrebbe sempre avere l’ultima parola. È molto
triste che Merkel e la Germania siano arrivati a questo, trent’anni dopo
l’uscita dal comunismo e dalle certezze delle sue porte chiuse
burocratiche.
Ma se è facile denunciare la pavidità della Merkel, è
ora che i media francesi capiscano che non è altro che una risposta
alla pavidità di Macron, che in realtà condivide lo stesso
conservatorismo. In fondo, questi due dirigenti non vogliono cambiare
nulla di essenziale nell’Europa attuale, perché sono vittime della
stessa cecità: ritengono che i loro due Paesi non se la stiano cavando
troppo male e che non abbiano nessuna responsabilità negli errori
dell’Europa meridionale.
In questo modo, rischiano di far
esplodere tutto. Dopo aver umiliato nel 2015 la Grecia, il cui Governo
di «estrema sinistra» magari non era perfetto, ma aveva almeno il merito
di promuovere dei valori di solidarietà nei confronti dei più poveri e
dei migranti, si ritrovano, nel 2018, con l’estrema destra al potere in
Italia, un Governo il cui solo collante — autorizzato dai regolamenti
europei — è la caccia allo straniero.
Come uscire dall’impasse? Il
problema è che buona parte dei dirigenti tedeschi e nordeuropei hanno
spiegato da anni ai loro elettori che tutte le difficoltà dell’Europa
erano causate da quei fannulloni del Sud, che questi volevano prendersi i
loro soldi e che sarebbe bastato che si mettessero a lavorare e a
esportare come dei tedeschi o degli olandesi per mettere a posto ogni
cosa.
Sul piano economico, questi discorsi sono deliranti quanto
le promesse del Fronte nazionale o della Lega ( perché nessuno al mondo
potrebbe assorbire un surplus tedesco esteso a tutta la zona euro). Ma
sta di fatto che questo fantasma dell’«unione dei trasferimenti »
(Transferunion in tedesco corretto) blocca oggi qualsiasi riflessione.
Per
uscirne, bisogna forse proporre che il futuro budget della zona euro,
alimentato da imposte comuni sugli utili delle società e i redditi e i
patrimoni più alti, votato da un’autentica Assemblea democratica,
benefici ciascun Paese in misura della sua contribuzione fiscale (con
trasferimenti netti limitati allo 0,1-0,5 per cento del Pil). Questa
visione strettamente nazionale della solidarietà non è soddisfacente, ma
in definitiva non è questa la cosa essenziale: l’obiettivo è
innanzitutto permettere a un potere pubblico europeo di imporre la
propria volontà agli operatori economici più importanti almeno tanto
quanto a quelli più modesti, per investire nel futuro e ridurre le
disuguaglianze all’interno dei Paesi. Discutiamo finalmente di Europa e
avanziamo!