orriere 13.6.18
Lo scontro (perdente) tra la sovranità e l’umanità dell’Italia
di Donatella Di Cesare
Comunque
andranno le cose, la nave Aquarius è già assurta a simbolo del nuovo
volto dell’Italia, quello poliziesco e sovranista. Ecco, dunque, il
«governo del cambiamento». D’altronde c’è nel paese una maggioranza, non
solo quella legastellata, che già da tempo scalpitava per mostrare i
muscoli e alzare la voce. Perché «questo paga!». Se lo meritava l’Europa
che, come recita il mantra provincial-vittimistico, «ci ha lasciato
soli». L’orgoglio identitario sussulta tronfio e canta vittoria. Già
prima di constatare i possibili effetti che — si deve presumere —
saranno ben pochi. Quel che conta è il gesto in sé, la chiusura. La
penisola ha poche frontiere terrestri e molte coste; non è facile
erigere muri come quelli di Orbán. Il mare si sottrae ai confini e alle
rivendicazioni patriottistiche. L’hashtag #chiudiamoiporti, twittato dal
neoministro degli Interni e rimbalzato nella Rete, è il Muro innalzato
dall’Italia. Così è stato interpretato all’estero.
I porti si
chiudono quando sta per arrivare un invasore, un nemico insidioso, di
fronte al quale ci si sente indifesi. Ma l’Aquarius ha solo un carico di
migranti fuggiti da fame, miseria, guerra, alcuni feriti e ustionati,
molti esausti; tra questi 123 minori non accompagnati e parecchi
bambini. Lo schiaffo del No è anche per loro, colpevoli di essere
migranti, cioè di essersi mossi. I diritti dei cittadini, protetti dai
confini, mal si conciliano con i diritti di quelli che stanno là fuori e
sono semplicemente esseri umani. Forse con la chiusura dei porti
l’Italia avrà acquistato ai propri occhi un po’ di sovranità. Qualche
cittadino si sentirà sovrano e appagato, mentre molti altri avvertono
quel senso del troppo-pieno che è la vergogna. Con quel gesto l’Italia
ha perso ben più di quanto abbia guadagnato. Perché quel che l’ha
contraddistinta nei secoli non è solo e non è tanto l’arte e l’ingegno,
quanto piuttosto l’umanità.